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sabato 31 dicembre 2011

Tre parole per l'anno nuovo


In un mondo che gira veloce come i bit dei computer, c’è una parola che accompagna i miei assaggi di tempo: lentezza. Ne scorgo il sapore lontano: ha i colori della memoria, delle ricette di una volta e del pane fatto in casa, e anche dei ricordi di una sobrietà di vita di chi ha costruito il futuro di questo Paese. La memoria delle cose buone ha l’odore dell’antica saggezza popolare, di una canzone mandata a memoria, di fuoco, acqua e vento che viene dai campi. E quando la memoria va lenta, significa che ha ragione. Ha avuto ragione.
L’altra parola nobile che cammina con il ritmo cadenzato del cuore e dell’anima è transumanza. Sa di pastorizia, ma mi sembra di un’attualità sconcertante. Transumanza è il lento andare con il ritmo della natura, che non ha paura dell’Altro, chiunque esso sia, incontrato per caso durante il viaggio. Sono transumante perché mi incammino lungo i tratturi dell’inaspettato e dell’incontro. I luoghi del dubbio e del limite mi attraggono, da sempre. Ne assaggio l’utopia nascosta.
Lentezza e transumanza valgono un calice di Pinot nero, quello gustato da soli nelle oasi di desiderio a oltranza che ti invita un buon libro che sa di vecchio. Amo le pagine giallastre, che fanno a pugno con i bep dei computer. E il suono del silenzio. Il vino accompagna il desiderio di due, come dice il mio amico  Erri. E due è sempre il contrario di uno.
Quando sorriso e vino, lentezza e transumanza si siedono a banchetto allora la buona speranza è di casa. Convito laico che regala utopia possibile. Oggi, ovunque.
Nell’Italia in cui mi sento ogni giorno di più straniero, porto dentro la mia bisaccia del pellegrino tre parole per una spiritualità laica dei giorni dispari. Adattando a quelli pari i luoghi dell’amore.

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