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lunedì 30 settembre 2013

Una rivoluzione chiamata Francesco

Articolo pubblicato  il 30 settembre su Vatican Insider



Per sapere cosa pensino i papi ormai tocca leggere La Repubblica. Nelle ultime due settimane abbiamo assistito a una sorta di ex-cathedra quotidiana dalle pagine dei giornali, prima con la lettera di Francesco al giornalista Eugenio Scalfari, seguito dalla missiva di Benedetto XVI al matematico Piergiorgio Odifreddi. Ma in mezzo, c’è stata anche l’intervista del papa attuale al direttore de La Civiltà Cattolica, una trentina di pagine dai più vista come una vera e propria enciclica.
Francesco ci sta abituando a leggere i segni dei tempi con un linguaggio semplice che va diretto al cuore del popolo dei fedeli e di chi non crede. Parole come misericordia, povertà, sobrietà, dignità, speranza, dialogo riprendono in fretta le strade dell’Esodo biblico della tenda e della testimonianza senza mediazioni curiali o teologiche. Per dirla con Karl Rahner, teologo gesuita amato da Francesco, la fede “ama la terra” e il cristianesimo contemporaneo, con la parola e il sorriso di Francesco, riprende il gusto di misurarsi con i drammi e le domande del mondo di oggi. In una parola: il coraggio di darsi in pasto all’umanità.
Francesco non può piacere a tutti. In queste ultime due settimane nelle quali la prima pagina dei quotidiani erano dedicate all’attuale papa, il credente Vittorio Messori sul Corriere della Sera e “l’ateo devoto” Giuliano Ferrara su Il Foglio hanno espresso, anche con punte non velate di polemica dura, il loro disappunto per una fede che potrebbe svendersi al mondo cattivo e ingiusto. Ma Francesco va oltre. Affascina credenti e non credenti per questa capacità di posare il messaggio di Gesù sul volto di questo mondo.
Qualcuno parla di nuova pastorale. Forse di una nuova teologia. In realtà è una scommessa sulla buona notizia di un evangelio che salva il mondo.
Francesco ci sta portando per mano e non ci lascia più. Tenendoci in balia di una irrequietezza dell’animo che sconfina oggi nella sorpresa e nell’attesa di un evento epocale che tanti si auguravano. La Chiesa, attraverso Francesco, si rimette in gioco, guarda dentro se stessa, anticipa i tempi futuri del sacro e dello Spirito e fa piazza pulita di un temporalismo che ha sfiancato, negli ultimi anni, la profezia evangelica e l'annuncio della buona notizia.
Abbiamo avuto un altro papa molto abile nei confronti dei mass media: Giovani Paolo II. Ma i modi erano diversi. Con Giovanni Paolo II c’è la costruzione dell’evento, che in quel giorno, in quell’ora, in quel luogo, si fa portavoce della buona notizia. I suoi viaggi pastorali in giro per il mondo sono stati il simbolo di una Parola che si serviva dell’evento stesso per essere rappresentata. Con Francesco è diverso. La Parola, annunciata a Santa Marta o sulle pagine dei giornali, è l’ordinario dell’evangelio che sovverte lo straordinario.
Sembra di essere ritornati ai tempi del Concilio Vaticano II, quando la Chiesa scommise sulla sua capacità di incontrare gli uomini nelle ansie e nei cambiamenti di questo mondo. Ma, è bene prenderne atto, è il Concilio stesso a essere superato in un abbraccio di umanità e razionalità disarmanti.
Con le due ultime incursioni sulla stampa, Francesco disarciona i sabotatori del tempio, svuota di senso gli appetiti personali che spesso si annidano nelle curie e nei templi sacri, riduce a “beata” insignificanza qualsiasi organizzazione costruita per la lode al Signore, lascia a bocca aperta gli agnostici e i non credenti, prende di petto la Parola e le restituisce, come un fiume in piena, l’abbraccio con il mondo intero.
Più di ogni commissione sulla riforma della curia e dello Ior, che pure avranno i loro effetti a medio termine, Francesco parla al cuore degli uomini senza fronzoli e con una schiettezza che cambierà la teologia contemporanea molto rapidamente. Quell’immagine della “Chiesa che è un ospedale dopo un campo di battaglia”, ma anche quel “Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”,  sono le più forti delle parole mai sentite fino a ora da un romano pontefice e mette la Chiesa, definitivamente, a fianco del cammino degli uomini.
Una rivoluzione. L’etica contemporanea e il cristianesimo ne saranno pervasi.
Tutti dovranno fare i conti con questo Francesco. Tutti. I suoi detrattori, i potenti della terra, i mercanti del tempio. E anche chi continua a chiedersi se Dio esiste.
Francesco non è la risposta definitiva, ma un “nome” che apre strade di nuova umanità.

venerdì 20 settembre 2013

Rivoluzione Francesco


Francesco ci sta portando per mano e non ci lascia più. Tenendoci in balia di una irrequietezza dell’animo che sconfina oggi nella sorpresa e nell’attesa di un evento epocale che tanti si auguravano. Non c’è via di scampo, soprattutto dopo aver letto le sue incursioni sulla stampa, dalla lettera al “non credente” Scalfari fino all’intervista rilasciata al direttore de La Civiltà Cattolica: la Chiesa, attraverso Francesco, si rimette in gioco, guarda dentro se stessa, anticipa i tempi futuri del sacro e dello Spirito e fa piazza pulita di un temporalismo che ha sfiancato, negli ultimi anni, la profezia evangelica e l'annuncio della buona notizia.
Misericordia, tenerezza, accoglienza, sorriso, dialogo con il mondo: sembra di essere ritornati ai tempi del Concilio Vaticano II, quando la Chiesa scommise sulla sua capacità di incontrare gli uomini nelle ansie e nei cambiamenti di questo mondo. Ma, è bene prenderne atto, è il Concilio stesso a essere superato in un abbraccio di umanità e razionalità disarmanti.
Con le due ultime incursioni sulla stampa, Francesco disarciona i sabotatori del tempio, svuota di senso gli appetiti personali che spesso si annidano nelle curie e nei templi sacri, riduce a “beata” insignificanza qualsiasi organizzazione costruita per la lode al Signore, lascia a bocca aperta gli agnostici e i non credenti, prende di petto la Parola e le restituisce, come un fiume in piena, l’abbraccio con il mondo intero.
Più di ogni commissione sulla riforma della curia e dello Ior, che pure avranno i loro effetti a medio termine, Francesco parla al cuore degli uomini senza fronzoli e con una schiettezza che cambierà la teologia contemporanea molto rapidamente. Quell’immagine della “Chiesa che è un ospedale dopo un campo di battaglia” è la più forte delle parole mai sentite fino a ora da un romano pontefice e mette la Chiesa, definitivamente, a fianco del cammino degli uomini.
Una rivoluzione. L’etica contemporanea e il cristianesimo ne saranno pervasi.
Tutti dovranno fare i conti con questo Francesco. Tutti. I suoi detrattori, i potenti della terra, i mercanti del tempio. E anche chi continua a chiedersi se Dio esiste.
Francesco non è la risposta definitiva, ma un “nome” che apre strade, già da oggi, di nuova umanità.

mercoledì 11 settembre 2013

Francesco: dacci oggi il nostro pane quotidiano


Nella storia della Chiesa e dell’umanità i monasteri sono sempre stati la culla del sapere e l’oasi della spiritualità. Quasi sempre rifugio e dimora per viandanti e pellegrini che non avevano di che sfamarsi e dove passare la notte sotto un tetto.
Una storia dove silenzio e accoglienza si sono sempre tenute compagnia. Si chiamava xenodochium, tradotto letteralmente sarebbe “ospizio per pellegrini”. Oggi si usa una parola più brutta, foresteria. E anche gli ospedali hanno la loro origine nell’antica pratica cristiana dell’accoglienza e della “caritas”, che i monaci hanno sempre praticato senza distinzioni di sesso, religione o etnia. Anzi, spesso le due anime del monachesimo occidentale, l’eremo e il cenobio, hanno sempre condiviso i loro carismi insieme. E più l’anima ascetica e contemplativa ha raggiunto la perfezione, più l’accoglienza all’ospite inatteso ha avuto la sua lettura terrena nell’abbraccio all’evangelio.
Oggi, a causa della crisi di vocazioni soprattutto in ambito monastico, le mura di monasteri e conventi sono spesso fatiscenti e ridotti a materia senza anima. Come se, finito l’ardore mistico, mancasse di fatto la terra sotto i piedi. Le braccia e le mani sono sempre di meno: forse non bastano nemmeno alla sopravvivenza delle stesse comunità.
L’ammonimento di Francesco - «I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati» - scuote proprio queste mura fatiscenti e le anime e i cuori di chi ci vive. Naturalmente ci sono le eccezioni, e per fortuna sono tante. Spesso i monasteri con più vitalità spirituale e aperti a una visione conciliare di una Chiesa che abbraccia il mondo, sono anche valido rifugio per chi non ha un tetto o da mangiare. Ma Francesco ha toccato un nervo scoperto del rapporto istituzione-popolo di Dio, costringendo, ancora una volta, a ripensare i modelli organizzativi di una Chiesa che se non riscopre l’essenziale di un servizio accanto ai fratelli non ha ragione di esistere.
Alcuni anni fa, l’amico Erri De Luca scrisse un “accompagno” a un mio libretto intitolato “A tavola con Dio”. Eccone un passo: Al termine del pasto la benedizione ebraica ringrazia dicendo: «Perché abbiamo mangiato da ciò che è suo». Per il credente ogni porzione è manna sapendo che di sua proprietà è il suolo che fa crescere il cereale, non sua è l’acqua di cielo che l’irriga, non suo il sole che attira la spiga verso l’alto e la riempie di chicchi rivolti all’insù, come un’offerta. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: questa preghiera è anche un ordine del giorno. Senza il rifornimento garantito dal dispensatore non si sostiene vita. Si è tutti ebrei ammassati nel deserto dentro una libertà bisognosa di tutto. La manna, come il pane quotidiano proviene, come dice la benedizione, «da ciò che è suo». Dalla condizione di invitati e non di padroni di casa discende il rapporto della persona di fede con il nutrimento.
Le vetrine luccicanti, la somma di denaro in tasca, fanno dimenticare l’origine del cibo. Ci si crede proprietari grazie a un atto di acquisto, a uno scontrino. Ma è solo l’ultimo gradino, il più basso, di una catena di produzione avviata dagli elementi base di acqua, aria, terra, fuoco. Non ne siamo gli eredi ma gli ultimi usufruttuari di un prestito sempre revocabile e spesso revocato. Questa è la tavola col cibo del mondo. La specie umana, per quanto numerosa, non ne mancherebbe.
La fame è un’offesa ingiustificata.

La fame è un’offesa ingiustificata.  Il napoletano innamorato di ebraico antico e di Gerusalemme e suo” fratello Bergoglio, immigrato d’Argentina in terra italiana, si danno la mano. 
E per un giorno, almeno, l’evangelio sorride e dà speranza.

lunedì 9 settembre 2013

Papa Francesco e il nuovo che avanza


C’è ancora chi continua a dire: «Aspettiamo per giudicare». Chi ancora parla di oscure manovre, di litigi di palazzo, come se la guerra protrattasi “oltretevere” negli ultimi anni non sia finita da quel 13 marzo, giorno dell’elezione di Francesco. C’è chi fa sorrisini di circostanza quando Francesco si reca a Lampedusa, si inginocchia di fronte a una ragazza musulmana nel carcere di Rebibbia durante il giovedì santo. Chi, ancora, non esita parole saccenti nel commentare la prossima riforma della curia e dello Ior. «Vedrete, vedrete…», è il tono di chi non si accorge che la guerra non è che sia finita, è semplicemente persa. Le omelie di Santa Marta? I preti lo fanno ogni giorno…
E mentre le comunità e le parrocchie si chiudono a riccio in difesa di antichi privilegi e ranghi ecclesiali duri a morire, la rivoluzione della tenerezza di Francesco varca i confini geografici del mondo laico e agnostico, raggiungendo con la sua flebile e sorridente voce i lontani e i dispersi nella fede.
Dopo soli sei mesi cambia il Segretario di Stato. Niente pure qui? Nell’attesa, l’attuale, dà libero sfogo al suo malcontento dicendo che le eventuali colpe del disastro della diplomazia vaticana degli ultimi anni lo si deve imputare anche agli altri collaboratori (quando si dice lo spirito di squadra…). Ricordando che comunque il Segretario di Stato si muove solo su mandato dal papa in persona (quando si dice riconoscenza…).
Eppure c’è una cosa che i nostalgici dell’ancien régime fanno fatica a capire. È il silenzio “assordante” di piazza San Pietro durante la veglia di preghiera per la pace. Nemmeno il trillo di un cellulare. Tre ore continue. Un silenzio orante, quasi contemplativo, in compagnia del papa e in unione con gli altri uomini, anche di credo diverso.
Un silenzio che sta inondando le Chiese e i cuori dei lontani. Che va oltre le diplomazie e più veloce di un missile terra-aria. Il nuovo che avanza è sotto i nostri occhi, eppure c’è chi non vuol vedere.
La fiaccola della fede è riattizzata. La primavera, dopo un lunghissimo inverno, è arrivata.
Il Cristianesimo, con Francesco, ha deciso che è ora di ricominciare a dire la sua.