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mercoledì 27 marzo 2013

Un nuovo tempo per una buona Pasqua


Pasqua 2013

«Forse a qualcuno può sembrare un titolo irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.
Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa.
Il grembiule, invece, bene che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo.
Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto squisitamente sacerdotale.
Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sagrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento!».

don Tonino Bello



Carissimi,
tempo fa scrissi che, essendo nato nel 1965, non ho avuto la fortuna di conoscere Giovanni XXIII e vivere la grande stagione del Concilio Vaticano II. Ne ho sempre avuto nostalgia.
Oggi, dopo le dimissioni di Ratzinger e l’elezione di Francesco, un nuovo tempo mi viene incontro per sognare una Chiesa bella e profetica. Con i dubbi di una fede in ricerca e la passione per un vangelo non più distante dall’uomo.
Il mio maestro laico, Ivano Fossati, direbbe che «c’è un tempo bellissimo tutto sudato / una stagione ribelle / l’istante in cui scocca l'unica freccia / che arriva alla volta celeste / e trafigge le stelle / è un giorno che tutta la gente /si tende la mano / è il medesimo istante per tutti /che sarà benedetto, io credo da molto lontano».
A questo nuovo tempo e questa nuova Pasqua, alzo il calice del vino migliore.

gianni


martedì 26 marzo 2013

Francesco 2 / Per ora godiamoci Francesco


I conservatori cominciano a sospettare qualcosa. I delatori del Concilio Vaticano II stanno sull’orlo di una depressione cronica. Figuriamoci i tradizionalisti. Il problema c’è, eccome, a sentir loro: Francesco ancora non ha evocato a sé il nome di “papa”. E quando lo farà? E come spiegherà questa latitanza?
In effetti Francesco, vescovo di Roma, tace sulla questione. Anzi, forse parla fin troppo. Fino a ora lui è semplicemente vescovo della Chiesa di Roma, prima tra tutte le Chiese nella carità. Come piace ai fratelli ortodossi. Una rivoluzione del ministero petrino, oppure un passaggio in avanti, o all’indietro, nella storia delle prime comunità cristiane quando la primizia di Pietro era il servizio ai fratelli, e non la pratica del potere fino a se stesso.
Le prime mosse di Francesco vengono a dirci che il ministero petrino non è roba di palazzi e di pergamene da firmare (certo, anche quelle), ma soprattutto l’incarnazione del verbo amare e servire. Una profonda rivisitazione del ministero petrino che, per ora, sta facendo fare brutti pensieri ai soloni della citazione papale facile facile e della dottrina fine a se stessa. Quegli stessi soloni che ora non citano più il papa nei loro articoli e discorsi e che hanno avuto una crisi nervosa quando Francesco ha ricordato un suo amico teologo dalla finestra papale, quel Karl Kasper senza dubbio tra i porporati più aperti del collegio dei cardinali. Potenza dell’habemus papam.
Ma oggi c’è l’ufficialità di una notizia a rinfrescare il ministero petrino e che in parte ci aspettavamo: Francesco vivrà, e non si sa per quanto, nella residenza di Santa Marta e non nell’appartamento pontificio, dove continuerà invece a ricevere gli ospiti importanti. Preferisce vivere la quotidianità con gli altri ospiti del residence, quasi tutti cardinali o prelati che lavorano in vaticano.
Può sembrare ciò una scelta di sobrietà e semplicità. Come lo è, infatti. Ma dietro questo stile c’è la volontà di Francesco di non voler essere un segregato in vaticano e di parlare, dialogare, avere un contatto quotidiano con il mondo “oltretevere”, superando in questo le rigide regole della sua segreteria e del cerimoniale. Semplicità e intelligenza insieme. E libertà di ascoltare chiunque voglia avvicinarsi al papa.
Per i tradizionalisti e i papalisti (che oggi nascondono la testa sbigottiti) ciò è un’eresia. Il papa è sempre il papa. Punto e basta. E già cominciano a dire che gli attuali simpatizzanti di Francesco, cioè il popolo di Dio, presto si ricrederà quando cadrà la cortina fumogena del papa progressista in favore del papa conservatore.
Sarà. Per ora godiamoci questo Francesco. E la tristezza dei tradizionalisti. Loro sì che non credono ai loro occhi.

giovedì 21 marzo 2013

Francesco 1 / Il Dio della porta accanto


Il comunicato del vaticano di stamane è striminzito. Poche righe. Papa Francesco non celebrerà nella basilica di San Pietro la Missa in Coena Domini, la tradizionale celebrazione serale del Giovedì Santo. Bensì all’Istituto penale per minori di Casal del Marmo. La messa è prevista per le 17.30.
«Com’è noto si legge nel comunicato la Messa della Cena del Signore è caratterizzata dall’annuncio del comandamento dell’amore e dal gesto della lavanda dei piedi. Nel suo ministero come arcivescovo di Buenos Aires il cardinale Bergoglio usava celebrare tale messa in un carcere o in un ospedale o in un ospizio per poveri o persone emarginate». 
«Con la celebrazione a Casal del Marmo continua la nota vaticana il papa Francesco continua tale uso, che dev’essere caratterizzato da un contesto di semplicità».
Diciamola tutta: ci aspettavamo un “qualcosa” di nuovo. Qualcosa che stravolgesse riti e consuetudini per far posto alla lettura bellissima del vangelo. Solo il vangelo. E basta.
E questo “qualcosa” sta avvenendo. È qui con noi.
I gesti esteriori del nuovo pontificato (scusate: servizio) di Francesco diventano ora dopo ora segni quotidiani di un potere e di una rappresentatività pontificale addolcite dal servizio ai fratelli che ci stanno accanto. Quella Chiesa del grembiule che abbiamo conosciuto con don Tonino Bello e che una moltitudine immensa di donne e uomini e vescovi e preti incarna spesso in silenzio ogni giorno e in ogni angolo del pianeta, di fronte alla società globalizzata che ingloba, mette in disparte, allontana, divide, emargina.
Il Dio della porta accanto di padre Francesco è più di una carezza adattata all’uso per i media o al sentimento bonario dell’immaginario cristiano. È un ritorno al futuro. È uno schiaffo in faccia a chi non vuol guardare oltre l’uscio di casa propria e un invito alle Chiese e all’umanità, fin troppo esplicito, a fermarsi su quelle pagine del vangelo dove Gesù è accanto all’Altro, chiunque esso sia.
La parola sacra, soprattutto in tempo di Pasqua, implica scelte radicali.
In questi giorni di frammentazione e cambiamento, appare, ancora oggi dopo duemila anni, la scelta vincente. E il Dio della porta accanto di Francesco allarga orizzonti di comunione tra gli uomini, tra gli sguardi sbigottiti e non convinti di chi sostiene la primazia di una fede che comanda, indica, e a volte condanna.

lunedì 18 marzo 2013

Diario Vaticano 11 / Francesco, il bello deve ancora venire




È difficile raccontare la storia, quella con la “S” maiuscola che cambia il mondo e la vita della gente. Persino per i cronisti, o per coloro che appuntano le loro impressioni, ieri su dei piccoli quadernetti, oggi sui blog. Lo storico Fernand Braudel ha insegnato che i grandi eventi dell’umanità non nascono solo dalle carte bollate o dalle guerre vinte e perse, ma anche e soprattutto dal sentimento dei popoli.
Oggi è più difficile scrivere e parlare di Chiesa, ma forse più bello. Francesco, vescovo di Roma, insieme alle dimissioni di Ratzinger, hanno regalato a tutti noi la certezza che la speranza e il sogno di un’umanità migliore sia possibile. Qui, ora, adesso.
Ci sono segni, oltre le pergamene e le carte costituzionali, che cambiano il corso della storia. I pantaloni neri sotto la talare bianca, le scarpe nere, normali e usate, le benedizioni chieste ai fedeli, il rispetto per chi non crede, il drappo della finestra di San Pietro senza stemma, il fatto che ancora non è andato ad abitare nell’appartamento pontificio, l’informalità dei gesti, l’omelia a braccio, la liturgia essenziale e, quindi, davvero sacrale quanto e forse di più di quella formale, le parole che cercano perdono e misericordia come lavacro quaresimale offerto a credenti  e non credenti in attesa di una nuova Pasqua.
Qualcuno dirà: è un papa buono. Non solo. È un padre e fratello che crede, spera e ama l’Altro.
Basterebbe questo per trovare un risvolto teologico e pastorale che va al di là dei nostri insperati desideri: Francesco, con la sua semplicità e dolcezza, si spinge in territori “altri” ma che la Chiesa ha coltivato da sempre, fin dalle prime comunità cristiane di Pietro e  Paolo, in un’opera continua di “fratellanza universale” (per usare le parole di Francesco) accanto alle fragilità dell’uomo.
Saprà stupirci, Francesco. Con i suoi gesti e i suoi segni. Il bello deve ancora venire.
Restituendoci la bellezza e il sorriso di un Dio che ci guarda.


ps: cari lettori, volevo ringraziarvi per esservi così tanti collegati con questo blog e per aver instaurato un clima di dialogo e di attenzione sulle ultime vicende della Chiesa universale. Da cronista, non ho potuto fare a meno, a volte, di accompagnare i post con un po’ di sana passione. Ma quando l’ho fatto, mi è parso sempre evidente. Spero di essere perdonato.
La storia della Chiesa e di Pietro va avanti. Cammina. A noi il compito di seguirla, passo dopo passo. È per questo che ho deciso di continuare questo cammino (i prossimi post si chiameranno semplicemente “Francesco”) con l’attenzione e la serietà che la mia professione mi impone e la passione che la mia fede in ricerca mi dona.
Stavolta, ne sono sicuro, racconteremo cose belle. Sogni sulla Chiesa.