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martedì 18 settembre 2012

Lo scandalo della politica e il prezzo della vergogna


Ci immaginiamo l’umore dell’operaio che torna a casa la sera stravolto dalla fatica mentre percorre i suoi ultimi chilometri da pendolare. O l’artigiano e il commerciante che vedono, ogni giorno, allontanarsi l’ombra dei clienti (una volta) fissi. O il padre di famiglia alle prese con le rate dell’Imu, con i libri scolastici da comprare per i propri figli e con i consumi di luce e gas da pagare. Ci immaginiamo l’umore. Ma, forse, dopo l’ultimo e vergognoso scandalo della politica che coinvolge la Regione Lazio, avvertiamo che il sentimento di rassegnazione per la recessione economica che un pezzo d’Italia “normale” vive sulla propria pelle ogni giorno, diventa, ora dopo ora, rabbia e senso di nausea per la vergogna di una politica corrotta che non ha prezzo, né limite.
Non è cambiato molto in quest’ultimo decennio nell’amministrazione della politica. Malgrado la stagione di Tangentopoli, la politica del belpaese ha vissuto di rendita, status, privilegi finanziari e burocratici rispetto all’Italia “qualunque” che tira avanti la carretta e che, oggi, rischia di non arrivare a fine mese. La periferia dell’impero (regioni, comuni, provincie…), volutamente non controllata, ha moltiplicato il costo del centralismo burocratico-statale all’infinito: un costo enorme fatto di soldi (dei contribuenti) sperperati al vento e di inefficienze e irresponsabilità amministrative che stanno regalando all’anarchia totale e all’attenzione interessata dei “furbetti del quartierino” il bene-Italia.
Oggi “er Batman” di Anagni, ieri “lo squalo” di sbardelliana memoria. Oggi il Lazio, poc’anzi la regione Lombardia. Oggi il Pdl, appena ieri la Lega, fino alla Margherita. La gente non ne può più. E ha ragione. Non è questione solo di ostriche e champagne, di suv e macchine blu, di belle donne (“gnocche” è la terminologia esatta mutuata dallo slang romano che ha varcato i confini nazionali) e personaggi da cinepanettone di Natale che, ahinoi, dovrebbero amministrare il bene pubblico, di case affittate con i soldi dei contribuenti e di consiglieri pagati a peso d’oro. Il problema vero è che la politica non sa trovare la parola “the end” a un film che la gente comune sta vedendo troppe volte, con l’eccezione dell’attuale governo Monti che, almeno in fatto di etica e trasparenza, ha invertito il trand nazionale.
Non c’è tempo da perdere per replicare al senso di ripugnanza che la maggioranza degli italiani sente arrivarsi addosso. Forse la politica ha ancora un’ultima chance. L’approvazione di una legge anticorruzione per la sfera pubblica in tempi brevissimi è oggi un imperativo categorico, quasi più importante dell’andamento dello spread. Ma è tutta la politica che dovrebbe essere regolamentata: il limite ai mandati pubblici rappresentativi, il rinnovo della classe dirigente, la democrazia interna ai partiti, la trasparenza dei bilanci, finanzi alla responsabilità oggettiva della politica. Se un medico sbaglia, paga. Perché non un politico?
Ora o mai più. Ma una regolamentazione della politica è solo la prima pietra di una casa che ha molti mattoni. C’è un enorme vuoto etico da costruire (di nuovo) insieme: un ethos dei diritti e doveri di cittadinanza perso in questi anni dietro l’illusione dell’uomo salva-tutto, complice un’opposizione politica che ancora oggi litiga per le primarie invece di presentare un progetto serio e innovativo per il paese.
Invece di contarsi per schieramenti e uomini, per capacità di leadership e aggregazioni future, è arrivata l’ora dei programmi e delle cose da fare. E il mondo cattolico non può star fermo a guardare.

domenica 9 settembre 2012

Sarajevo, città della pace

La città dei minareti e delle moschee, delle croci e delle icone, delle sinagoghe e della stella di Davide, sembra un grande suk dove uomini di fedi ed etnie diverse tentano di vivere un nuovo lessico universale che ha i colori del futuro. Slalom, inshallah, pace. I nomi segreti di Dio della Bibbia, della Torah, del Corano hanno il volto della pace. Eppure Sarajevo ha conosciuto il volto più sanguinario della guerra. Vent'anni fa, fratello contro fratello, popolo contro popolo. Don Tonino Bello, profeta di pace, era sbarcato da queste parti in un lontano dicembre del 1992, in una Sarajevo assediata dalle bombe e dal tiro dei cecchini. Faceva freddo, c'era la neve. Volle venire qui, in questa terra sospesa per incanto tra Occidente e Oriente, insieme ad altri 500 innamorati della parola pace, per un segno di speranza. Il popolo del burek e dei cevapcici, del kajmak e del caffè bosanska kahva, quel popolo che ascolta la musica balcanica e gitana di Goran Bregovic ma anche le melodie arabe dell'oud, che e' abituato a parlare un esperanto di lingue diverse, ebbene quel popolo capi'. Abbraccio' quel segno di antica alleanza.
Sono passati vent'anni. Anni che ormai si aggrappano a un processo di integrazione europea che sembra davvero essere a portata di mano. Vivere insieme è il futuro: e' questa la parola d'ordine. Al Meeting internazionale di Sarajevo promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, con le quattro comunità bosniache (musulmani, serbo-ortodossi, cattolici, ebrei) per la prima volta insieme in un unico evento dalla fine della guerra del 1992-1995,si respira questo. E se alla liturgia presieduta dal cardinal Vinko Pulic nella cattedrale del Sacro cuore, al centro della Città Vecchia, partecipa per la prima volta il Patriarca serbo-ortodosso Irinej, e prende la parola, vuol dire che qualcosa sta accadendo nel cuore della gente.
Riconciliazione dei cuori. E processo politico di integrazione verso l'Europa che ha bisogno, oggi, di nuova forza.
Sarajevo e' già domani. Una chance di futuro possibile che potrebbe aprire una porta per un dialogo nuovo tra Mediterraneo e Mitteleuropa.
Solo la pace puo' osare tanto, sulle orme del volto di Dio.