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domenica 26 maggio 2013

Don Puglisi e don Gallo, tra santità e profezia

Articolo pubblicato su L'Unità del 26 maggio

I giusti salveranno la terra. La scrittura sacra oggi ha il cuore e l'anima di Pino Puglisi. Sono passati quasi vent'anni da quando don Pino fu ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Aveva appena compiuto 56 anni, il prete dei cittadini "ribelli per amore" di uno dei quartieri a più alta infiltrazione mafiosa in terra siciliana. Un colpo di pistola pose fine alla sua vita spesa per l'educazione alla legalitá con i giovani e i bambini del quartiere. E oggi, in una giornata strana di un 25 di maggio che rincorre memoria e profezia, la Chiesa lo proclama beato.
Le vie della santità percorrono a volte strade lunghe e inattese. Da Palermo a Genova sembra che una nuova Italia passi per le maglie strette della solidarietà e dell'amore per l'altro. Don Puglisi è beato, alla faccia della mafia, mentre don Andrea Gallo percorre il suo ultimo viaggio insieme ai suoi amici poveri e abbandonati. A Genova presiede i suoi funerali Il card. Bagnasco, arcivescovo del capoluogo ligure e presidente della Cei: la Chiesa abbraccia il fratello più lontano. Anche se qualche volta questo fratello ha alzato un po' la voce. Sembra quasi che il vangelo della strada e l'ascolto dell'Altro siano tornati a sconvolgere le litanie troppo ossequiose e odoranti di sagrestia che un certo linguaggio ecclesiale e pastorale intriso di timidezza sociale ha perpetrato per troppo tempo. Come se il Concilio Vaticano II fosse improvvisamente ricomparso dal radar del rinnovamento della Chiesa. La santità non è solo un percorso ascetico per spiriti mistici, ma anche e soprattutto una predisposizione a vivere intensamente  l'incontro con l'Altro e ad accettare il martirio.
Il sacrificio di don Puglisi e l'esempio di don Gallo e di tanti altri preti sparsi nel paese, ci dicono che il vangelo è davvero alla portata di tutti, ricchi, poveri, dimenticati e ammalati, persi e ritrovati, emarginati e lontani. E che la giustizia è un affare non solo dello Stato ma anche della coscienza umana, via privilegiata all'incarnazione del vangelo della santità.
Una santità che è la porta principale della periferia della Storia. Don Puglisi lo dimostra. Il Comitato Intercondominiale, le Sorelle dei Poveri e il Centro Padre Nostro hanno messo davvero paura al sistema politico-mafioso perché sono la  dimostrazione vivente che una rivoluzione culturale ed educativa, se partita dal basso, puo' sconvolge i cuori e liberare la cittadinanza, restituendole la dignità perduta. Una santità che non ha paura di dialogare con la storia se vede 80mila persone presenti a Palermo e la città ligure bloccata per i funerali di don Gallo, ai quali, è bene ricordarlo, non fa mancare la sua compagnia liturgica don Luigi Ciotti, anima e corpo di Libera, l'associazione che combatte da sempre contro le mafie.
La memoria laica di un impegno contro le ingiustizie e la legalità e la celebrazione religiosa   che ricongiunge l'uomo davanti allo sguardo misericordioso di Dio, è il sorriso laico della buona battaglia . È il miracolo della Chiesa della profezia.
Forse oggi abbiamo bisogno di profeti veri, di santi uomini più vicini al mondo che non al cielo. Anche don Tonino Bello, il vescovo della pace e della Chiesa del grembiule, sta percorrendo la difficile strada che porta alla santità ecclesiale. E non è sfuggito agli osservatori di "cose vaticane" il comunicato congiunto tra Santa Sede e lo Stato Salvadoregno, in cui si parla apertamente di mons. Oscar Arnulfo Romero, l'arcivescovo di San Salvador assassinato il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa. Il presidente del paese latinoamericano, Carlos Mauricio Funes Cartagena, ha chiesto un'accelerazione del processo canonico. E pare proprio che papa Francesco sia intenzionato a farlo.
La profezia evangelica è il tratto trainante della santità. E ogni buon profeta, come don Puglisi, Oscar Romero, perfino quel burbero con il sigaro di don Gallo, restituiscono all'umanità intera la speranza che qualcosa può cambiare. In politica, nella città degli uomini, nel tempio del Dio che amiamo. Una sorta di abbraccio tra cielo e terra che rende la profezia, e questi nostri profeti, non monumenti da ricordare, ma memoria vivente di un diritto alla solidarietà, alla libertà e alla giustizia che a volte si paga con la vita o l'ostracismo di chi non vuol capire.
Oggi c'è papa Francesco. La santità cammina accanto agli uomini.

sabato 25 maggio 2013

Don Gallo e la Chiesa che abbraccia tutti

Oggi, e anche ieri sera alla veglia-festa in memoria di don Gallo, ho assistito a un pezzo di Paradiso che abbracciava la terra. Uno di quei giorni che vanno vissuti pienamente, dove gioia sorriso e pianto si danno la mano e cantano insieme l'Alleluja del raccolto.
Oggi il mio paradiso futuro ha i colori di una umanità dolente che si sente accolta dalla Chiesa, madre, sorella, compagna, amante, amica. Ha il volto di un miracolo che è avvenuto sotto i miei occhi, ormai logorati da anni di sogni interrotti, di inseguimenti perduti lungo le strade del Concilio Vaticano II.
Ho ascoltato in una Chiesa, quella di San Benedetto al Porto di Genova, la preghiera più bella in forma di musica, quella Creuza de ma del grande Fabrizio De Andrè. Il genovese antico come grande lingua universale che unisce uomini e sacerdoti in una veglia collettiva di amore e confusione.
Ho visto con i miei occhi le Princese piangere, i giovani leggere frammenti d'amore, gli adulti fermi e composti ad applaudire fino a notte tarda.
E oggi, stamane, mentre don Puglisi veniva proclamato beato, ho visto una Chiesa che abbraccia tutti. Che abbraccia chi ha voluto contestare l'omelia di Bagnasco, le trans che hanno preso la comunione proprio dalle mani di Bagnasco, il bellissimo discorso di don Ciotti, quasi un'omelia aggiunta, che ha citato il nostro don Tonino Bello e ha ripreso, con mio enorme gusto, è chiaro, il mio extra omnes pubblicato in questo blog all'inizio del recente conclave e che proprio don Gallo ha voluto fare suo.
Ho visto e ascoltato il maestro e amico Moni Ovadia dire parole che non sentivo da tanto tempo, che riscaldano l'anima. La parola compagno, per esempio: è una parola cristiana. Cum panis, insieme mangiamo il nostro pane quotidiano. Ho visto una città in festa, i murales pieni di disegni in onore del don, le finestre aperte in segno di vittoria e tanti cartelli e striscioni che scendevano dai palazzi. Ho visto una città bloccata per un supplemento d'amore.
Ho ascoltato parole come giustizia, pace e solidarietà, il nostro lessico dimenticato dalla politica e dalla società. Ho visto Vladimir Luxuria chiedere una carezza alla Chiesa che amiamo ma anche delle scuse a chi spesso non capisce la diversità.
Ho capito che la diversità, come ha detto don Ciotti, non significa avversità. Che l'amore cambia l'uomo. Che Gesù ha il volto oggi di questo uomini e queste donne disobbedienti alle leggi  del branco alla quale la morte ha regalato una goccia di splendore.
Ho visto la Chiesa che non ha paura. Che accetta una contestazione nel suo tempio, quando l'omelia un po' ovattata del cardinale ha acceso gli animi. Ma ho visto anche i ragazzi della Comunità di San Benedetto al Porto che hanno chiesto rispetto per il loro arcivescovo e per tutti coloro che la pensano diversamente.
Oggi è un giorno fortunato. Il cielo si è chinato verso la terra, e la terra ha aperto gli occhi verso il cielo. Forse sarà stato don Gallo e don Pino che già avranno cominciato a fare baldoria insieme, lassù, in paradiso.
Dimenticavo: la chiave della porta dei cieli sicuramente gliela avrà data Carlo Maria Martini. E se un ebreo, per lo più agnostico, come Moni Ovadia si spinge a dire che don Gallo risusciterà allora vuol dire che davvero il seme ha già cominciato a germogliare e a portare nuovi frutti.
Altrove, qui, oggi, ora, non lo so. La speranza oggi, 25 maggio, non muore. Perché abbiamo conosciuto don Puglisi, don Gallo, Carlo Maria Martini. Perché abbiamo visto il bene che dalle loro mani si è compiuto per noi sulla terra.
La profezia continua a lottare. Esiste. E la nostra Chiesa, con papa Francesco, le dà spazio e strada per continuare a esistere.
Il resto dipende da noi. E dallo sguardo misericordioso di un Dio che sorride.

mercoledì 22 maggio 2013

Ciao don Gallo, l'ultimo profeta


Il sorriso di don Andrea Gallo è come quel suo sigaro toscano sempre in bocca a fargli compagnia. È contagioso. Irrompe frammenti di parole sacre, quelle che lui ha incarnato nella sua lunga e bella vita. Ho avuto la fortuna di essergli vicino per alcuni lavori editoriali negli ultimi tempi, e proprio in questi giorni parlavamo di De Andrè, il suo amico poeta degli ultimi e dei disperati. Si era commosso proprio quando abbiamo cominciato a riflettere su quella straordinaria canzone-poesia che è Smisurata preghiera. Quando parlava di De Andrè si commuoveva sempre, mentre con Bella Ciao, la canzone dei partigiani, quella che lui amava cantare nelle osterie e nelle feste di paese, aveva un rapporto più battagliero e ironico. Si sentiva partigiano, non solo da un punto di vista storico. Era un partigiano vero, di parte, e come parte aveva scelto di stare con gli ultimi e i reietti del pianeta.
Lui, ultimo profeta degli sbandati e degli emarginati, non aveva scuse davanti al Vangelo. Gesù parla chiaro, diceva spesso. E la sua Comunità di San Benedetto al Porto ne è l'esempio concreto. Non c'è ultimo della terra che non sia passato per le sue braccia e il suo cuore colmo d'amore: trans, malati di mente, disoccupati, tossicodipendenti, senza tetto, carcerati. La feccia dell'umanità, direbbe qualche benpensante, ma benedetta da Dio. E da don Gallo.
Un cristiano tutto di un pezzo. Amante della sua Chiesa, e obbediente in piedi. Si è fatto sentire, eccome, anche dalla gerarchia, la sua voce ha varcato i confini delle sagrestie e del tempio per diventare testata d'angolo di un vangelo che è amore e compassione.
Non si è dato mai per vinto, e ha continuato tenacemente fino all'ultimo a lavorare per i suoi giovani e la sua Comunità, sia a Genova che nel resto del mondo dove aveva saputo gettare i semi dell'accoglienza.
Incontenibile e generoso. Le sue prediche nella messa domenicale dall'altare della piccola chiesa al Porto erano frammenti d'amore e non era difficile trovare tra le panche non credenti assorti e in meditazione. Una volta, ricorda don Gallo, entrò l'ebreo Moni Ovadia e lui lo invitò vicino a lui a recitare il Pater, l'antica preghiera delle religioni sorelle.
Ha sorriso di fronte al male della società e alle ingiustizie che essa produce, si è divertito con la speranza che anche i disperati possono cambiare, se vogliono, non solo la loro condizione di vita, ma anche quella del loro paese.
Ci lascia un vuoto inimmaginabile, come prete e come uomo amante e difensore della Costituzione. Quando fu eletto papa Francesco, lo abbiamo visto gioire come non mai. Era davvero contento che lo Spirito gli avesse fatto questo bel regalo per i suoi quasi 85 anni. Lo amava papa Francesco, eccome. E ne citava ogni sua parola.
Ora che anche questo ultimo partigiano della giustizia e della pace se ne è andato, rimane la certezza che la lotta contro i poteri e i soprusi, anche quando è impari, è sempre da fare se convinti della bellezza del messaggio evangelico.
Vai con Dio, Andrea. E saluta, da lassù, tutti gli amici che avrai già incontrato: don Milani, don Mazzolari, padre David Maria Turoldo, don Tonino Bello, padre Ernesto Balducci e Carlo Maria Martini.
E vi immaginiamo, mentre state cantando tutti insieme, il Bella Ciao della speranza, davanti allo splendore che hai sempre desiderato, un giorno, di conoscere.