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venerdì 16 dicembre 2011

Francesco, quel "lavoretto" per sbarcare il lunario


La morte del giovane studente mentre montava il palco per lo spettacolo di Jovanotti a Trieste lascia a tutti noi, oltre che un senso di frustrazione e sgomento, alcune domande che vanno poste sul piatto della bilancia delle emozioni.
Senza entrare nel merito della liceità di tale lavoro (che spetta alla magistratura e che, bisogna dirlo, lo stesso Jovanotti ha voluto confermare come il tutto si sia svolto nell’abito della legalità e di controllo della sicurezza sul lavoro), la morte del ventenne mi fa venire in mente che è sempre un fatto positivo se uno studente, per arrotondare e pagarsi gli studi, si dia da fare con qualche lavoretto. Alle fatiche facili di facebook e twitter, che ogni collega giovane è abituato a gestire durante la giornata, qui c’è la storia di uno che fa la fila in un luogo qualunque di una qualsiasi città per svangare il lunario. E non pesare sulle spalle dei genitori.
La seconda considerazione, per paradosso, è che proprio questo atteggiamento dell’”arrangiarsi” rivela ciò che oggi non funziona più tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro. In altri paesi occidentali, evidentemente più evoluti del nostro, lo “studio” è una cosa seria, da esercitarsi negli anni, al riparo da facili promesse lavorative immediate, affinché un giorno possa dare i frutti nel lavoro sognato e sofferto. Insomma, c’è un tempo per lo studio e un tempo per il lavoro.
Ciò non succede in Italia. Il “lavoretto”, spesso al nero e sottopagato, è la mina vagante di una società che ha dimenticato i propri giovani nella retrovia della storia e affondato le residue speranze di un welfare che sappia accompagnare il futuro delle giovani generazioni nel difficile passaggio tra l’istruzione e il lavoro.
Ecco perché la morte di Francesco ci lascia una tristezza doppia. Una vita umana persa e un futuro che sembra spezzarsi come i ponteggi del Palasport di Trieste.

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