Quella
croce di ferro che brillava sulla talare bianca in una notte di pioggia e di
speranza, ha il peso di un ritorno alle origini delle prime comunità cristiane,
quando l’oro le stole e le mostranze facevano posto alla comunione con i
fratelli.
Fratel
Bergoglio si è mostrato così. Sobrio e austero al tempo stesso, prodigo di
amore verso il suo popolo e la sua Chiesa. Un bel coraggio quello di chiamarsi
Francesco. Non lo ha fatto mai nessuno a Roma. Troppo lontano quel nome, troppo
foriero di solenni impegni davanti al vangelo. Eppure fratello Francesco,
vescovo di Roma, non solo ha osato, come solo i profeti sanno fare, ma ha
incarnato in un attimo che vale un’eternità la primazia nella carità della
Chiesa di Roma, riconosciuto ciò anche dalla Chiesa ortodossa. E non il primato
di Pietro.
Basterebbe
questo per respirare finalmente aria di assoluto. Oltre gli scandali, gli
intrallazzi, e una crisi secolare e
romanocentrica che qualcuno ha voluto governare con burocrazie e mediazioni.
Il
soffio dello Spirito ha colto impreparata persino la Chiesa, e ha spazzato via
in un colpo solo quel che resta di questi ultimi anni indegni e indecorosi del
malgoverno della curia romana. Pulizia, sobrietà, carità, amore per il vangelo:
improvvisamente sentiamo risuonare nel vento queste parole.
Poi,
certo, c’è il fatto che per la prima volta nella storia un uomo, un prete
latinoamericano varca le stanze di oltretevere. Se l’Europa ha perso il carisma
del primo annuncio, non poteva che essere così. Anche la geopolitica della
cristianità cambia, e dovremmo chiederci tutti perché oggi il vangelo è buona notizia nei paesi emergenti e
quelli del terzo mondo. È da
tempo che l’Europa ha chiuso le porte al vento dello Spirito. Inevitabile
aprire qualche nuova finestra a sud.
Lui,
vescovo Bergoglio, ricomincia da zero. Da dove partì duemila anni fa un uomo
chiamato Gesù. Vescovo perché padre e fratello nella fede e nella comunione con
il suo popolo. Amico dell'"altro".
Ci
aspettiamo grandi cose da fratel Francesco. Fede, speranza e carità. E un
vangelo che liberi, ami, accompagni.
E
chissà che uno dei suoi primi atti non sia proprio la beatificazione di Oscar
Arnulfo Romero, vescovo e martire di San Salvador, padre e fratello degli umili
e degli indifesi. Una beatificazione che giace da tempo nei cassetti pontifici.
Poi verrà
quello che si aspettano tutti: una grande opera di pulizia all’interno della
Chiesa.
E
quando ciò avverrà, noi saremo nelle piazze e nelle chiese a gridare con lui l’alleluja della gioia e della speranza.
Coraggio!
Siamo con te, fratel Francesco.
Beh, speriamo.
RispondiEliminavedrete vedrete, questo è un gesuita...
RispondiEliminaCiao Gianni, ho appena seguito l'incontro del papa con i giornalisti. Continua a chiamare se stesso "il vescovo di Roma". Io non ci capisco molto, ma mi sembra di scorgere l'intenzione di una riforma profonda del papato, e sempre di oggi è la notizia che il patriarca di Costantinopoli probabilmente parteciperà alla messa di intronazione, cosa che non accadeva dall'anno del Grande Scisma. Che sia l'inizio per una riunificazione delle due chiese?
RispondiEliminaSalvatore