Il nascondimento di Joseph Ratzinger è la
pietra di scarto dei prossimi anni nel futuro della Chiesa. Una vita di
preghiera, orante e silenziosa, benché nascosta agli occhi degli uomini, è una
vita piena che raccoglie le domande e i dolori dell’umanità offrendoli
quotidianamente a Dio. Insieme agli uomini, sotto lo sguardo misericordioso di
Dio. La Chiesa lo sa bene, e non c’è bisogno di scomodare la letteratura dei
padri del deserto o la storia monastica per ricordare quanto la preghiera
riesca a smuovere anime e coscienze. Per rimanere in Italia, in tempi recenti,
fratel Carlo Carretto, prima dal deserto del Sahara e poi dall’eremo di Spello,
riempì i cuori di migliaia di persone con i suoi libri, le sue parole, e la sua
semplice accoglienza. Stessa sorte toccò a un poeta solitario come padre David
Maria Turoldo, cantore del Mistero e della Speranza e, ancora oggi, viene
ricordata la figura di don Lorenzo Milani (che non è stato un monaco bensì un prete molto battagliero) come grande maestro-educatore,
malgrado in questo caso il suo nascondimento
a Barbiana fu causato da una punizione voluta dalla gerarchia e non da una
scelta personale. Il monaco Giuseppe Dossetti dal suo ritiro appenninico ha
continuato ad accompagnare credenti e non credenti in percorsi di fede e di
dialogo con Dio; Adriana Zarri, una vita vissuta da eremita, ha dato alla
teologia contemporanea i passi della sobrietà e dell’amore disinteressato verso
Dio, e dom Benedetto Calati, dal suo eremo di Camaldoli, è stato per tanti anni
la guida spirituale di chi voleva incarnare davvero il Concilio Vaticano II. Per
finire all’attualissimo Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, un monaco
riconosciuto da tutti come una delle personalità più vive e profetiche del
cattolicesimo contemporaneo.
Può
dunque il nascondimento di Joseph
Ratzinger configurarsi come un vero e proprio ritiro dalle cose del mondo?
Evidentemente no. Non basterà ritirarsi a vita privata (privata nel recinto
delle Mura Leonine…?!!) e dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Lui c’è.
Starà lì. Il nuovo papa lo ascolterà, lo vedrà piegarsi sulle pagine del
Vangelo come i profeti dell’Antico Testamento annusavano per aria il soffio di
Dio. Sarà una presenza silenziosa e allo stesso tempo ingombrante.
Il
rischio che i vertici della Chiesa non possono permettersi oggi è quello di
avere un papa, benché emerito, che prega e un papa, nel pieno delle sue
funzioni, che regna.
Un
papa regnante e un papa orante, cioè l’eclissi del sacro. È questo il bandolo
della matassa che i cardinali riuniti in Conclave dovranno sbrogliare. Evitare
l’ultimo paradosso, il più cupo, il più forte: la preghiera dell’anima o il
governo delle cose. Prima che la Chiesa sprofondi in una crisi senza fine. E
ridisegnare, proprio dal suo interno, il ruolo del ministero petrino,
paradossalmente mai come oggi debole e forte allo stesso tempo, e nell’unica
direzione possibile: servire l’umanità.
Il mondo ne ha bisogno.
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