Visualizzazioni totali

martedì 19 agosto 2014

Diario di agosto/9. Quando di mattina presto passava il lattaio


Una volta passava il lattaio, di mattina presto. Il latte, appena munto dalle mucche generose delle vicine malghe e campagne, veniva trasportato in contenitori di alluminio da un uomo dal mestiere dimenticato, che poi lo versava nelle bottiglie di vetro del “consumatore finale”, si direbbe oggi, porta a porta. Il lattaio, compagno di (s)ventura di altri mestieri sparigliati nella corsa al benessere, come il corniciaio, il fabbro, il calzolaio, il falegname. Artigiani dell’ora prima e di piccoli utensili utili e non consumati dal tempo e dalla fretta del vivere.
La frutta e la verdura venivano come manna del cielo dai parenti più stretti, ma si pagava comunque: il giusto. Verdura sporca dalla terra, così le patate, le carote. Verso fine di agosto tutta la famiglia si univa nella produzione casalinga dei pomodori. Piccoli, adulti, donne, uomini, anziani, persino i malati: l’unica vera prova di democrazia basata sulla costituzione non scritta della sopravvivenza. Ci si arrampicava sugli alberi alla stagione giusta per restituire loro, attraverso il “ratto” della raccolta, la libertà di poter ancora una volta creare vita in una simbiosi con l’ambiente che teneva a bada il ciclo dell’evoluzione naturale.
L’acqua era quella della fonte più avanti, e il pozzo era la riserva idrica per la terra che non ammetteva bollette. Il camino riscaldava la casa, anche negli inverni più rigidi. E le delizie della carne cotta alla brace e sotto la coppa, diventava occasione per la trasmissione orale del racconto della vita. I valori occupavano il primo posto a tavola, apparecchiata con bicchieri di vetro e posate di almeno qualche generazione prima. La plastica non esisteva. Le campane della chiesa suonavano all’ora giusta. E le feste patronali erano l’occasione propizia per mettere il naso fuori dalla porta: anche il più piccolo paese si sforzava di ospitare un concerto di rilevanza nazionale.
Poi, un giorno, un tempo, tutto ciò smise di esistere. I nostri padri, per necessaria smania di ricchezza e di salto sociale, dimisero le terre ereditate dai loro antenati con fulminea rapidità. La plastica e la carta si appropriarono delle tavole. La tv cacciò la parola raccontata. Il web disse che eravamo tutti uguali.
Poi, un giorno, un tempo, le feste patronali cominciarono a rincorrere i mestieri di una volta, il formaggio fatto in casa, il latte intero appena munto, il dialetto a farsi di nuovo vivo. E tanta bella musica tradizionale del posto (si direbbe oggi, musica etnica).
E a me pare che il lento ritrovarsi del ritmo delle stagioni e della vita voglia riprendersi il giusto posto che gli spetta. Oggi, diciannove di agosto di un duemilaquattordici che non avrei mai pensato, attendo il lattaio che bussa alla mia porta. Dovrò attrezzarmi con bottiglie di vetro. Quelle che ho sono tutte di plastica: contengono acqua.

Nessun commento:

Posta un commento