Una volta passava il lattaio, di
mattina presto. Il latte, appena munto dalle mucche generose delle vicine
malghe e campagne, veniva trasportato in contenitori di alluminio da un uomo
dal mestiere dimenticato, che poi lo versava nelle bottiglie di vetro del
“consumatore finale”, si direbbe oggi, porta a porta. Il lattaio, compagno di
(s)ventura di altri mestieri sparigliati nella corsa al benessere, come il
corniciaio, il fabbro, il calzolaio, il falegname. Artigiani dell’ora prima e di
piccoli utensili utili e non consumati dal tempo e dalla fretta del vivere.
La frutta e la verdura venivano
come manna del cielo dai parenti più stretti, ma si pagava comunque: il giusto.
Verdura sporca dalla terra, così le patate, le carote. Verso fine di agosto
tutta la famiglia si univa nella produzione casalinga dei pomodori. Piccoli,
adulti, donne, uomini, anziani, persino i malati: l’unica vera prova di
democrazia basata sulla costituzione non scritta della sopravvivenza. Ci si
arrampicava sugli alberi alla stagione giusta per restituire loro, attraverso
il “ratto” della raccolta, la libertà di poter ancora una volta creare vita in
una simbiosi con l’ambiente che teneva a bada il ciclo dell’evoluzione
naturale.
L’acqua era quella della fonte
più avanti, e il pozzo era la riserva idrica per la terra che non ammetteva
bollette. Il camino riscaldava la casa, anche negli inverni più rigidi. E le
delizie della carne cotta alla brace e sotto la coppa, diventava occasione per
la trasmissione orale del racconto della vita. I valori occupavano il primo
posto a tavola, apparecchiata con bicchieri di vetro e posate di almeno qualche
generazione prima. La plastica non esisteva. Le campane della chiesa suonavano
all’ora giusta. E le feste patronali erano l’occasione propizia per mettere il
naso fuori dalla porta: anche il più piccolo paese si sforzava di ospitare un
concerto di rilevanza nazionale.
Poi, un giorno, un tempo, tutto
ciò smise di esistere. I nostri padri, per necessaria smania di ricchezza e di
salto sociale, dimisero le terre ereditate dai loro antenati con fulminea
rapidità. La plastica e la carta si appropriarono delle tavole. La tv cacciò la
parola raccontata. Il web disse che eravamo tutti uguali.
Poi, un giorno, un tempo, le
feste patronali cominciarono a rincorrere i mestieri di una volta, il formaggio
fatto in casa, il latte intero appena munto, il dialetto a farsi di nuovo vivo.
E tanta bella musica tradizionale del posto (si direbbe oggi, musica etnica).
E a me pare che il lento
ritrovarsi del ritmo delle stagioni e della vita voglia riprendersi il giusto
posto che gli spetta. Oggi, diciannove di agosto di un duemilaquattordici che
non avrei mai pensato, attendo il lattaio che bussa alla mia porta. Dovrò
attrezzarmi con bottiglie di vetro. Quelle che ho sono tutte di plastica:
contengono acqua.
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