Sono
vent’anni che la politica italiana non riesce a togliersi dai piedi Silvio
Berlusconi. È l’unico e triste dato di fatto di una cittadinanza e di una cultura
sociale che non ha saputo, o voluto, divincolarsi dal miraggio dell’uomo della
provvidenza che ci ha portato diritti al baratro economico e allo scadimento di
un ethos pubblico che pure, in altri tempi, c’era.
Altrettanto
triste è il comportamento della giustizia che, all’ultima tornata utile, ha
messo il suo zampino su una vicenda che andava vista e giudicata già in altri
tempi. Chiaro che approfitta di una politica ancora seduta su vecchi schemi e
in piena crisi di autorità e rappresentanza.
Tristissimo,
poi, ma assai spiegabile se andiamo a vedere la storia di questo nostro paese,
è un ceto sociale che non ha saputo ribellarsi all’uomo di Arcore non solo con
il voto, ma anche con un atteggiamento etico e di responsabilità verso il bene
comune.
Ecco
perché, se la politica riuscisse a “inventarsi” un patto per il bene del paese,
nel quale si salvi penalmente Berlusconi e nello stesso tempo facesse, lui
stesso, un passo indietro come uomo politico, ebbene quest’atto non sarebbe
visto come uno scandalo o uno stravolgimento dei nostri principi
costituzionali, ma, anzi, al contrario , come una vittoria della politica sul
“fai da te” tanto in voga in terra nostra.
Qualcuno
dirà: Berlusconi deve scontare la sua pena, per quanto impalpabile. Costi quel che
costi. Con il rischio, però, di trovarcelo tra i piedi tra un po’ ancora più
forte di prima.
Che la più
grande disgrazia italiana dai tempi della seconda guerra mondiale sia, quindi,
governata dalla politica, la quale in fondo l’ha generata.
Che si goda
le sue proprietà e le sue aziende conquistate anche con l’aiuto della politica.
Ma che non si faccia più vedere in giro, elettoralmente parlando.
L’Italia, e
tutti noi, ne guadagneremmo.
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