La generazione prima di me aveva
il gusto del riciclato. Non si buttava mai niente, un po’ per fame, un po’ per
sapienza di artigiano. Il legno e il ferro assumevano volti nuovi, la materia
respirava aria nuova, e un bicchiere di vino era la compagnia giusta all’estro
e al lavoro delle mani.
Succedeva anche al pane, quando,
non mangiato, veniva riutilizzato in mille modi diversi da cuoche severe che
sapevano persino rendere saporita e intrigante la mollica: in brodo,
impasticciato con altri, in forno, a contorno di pastella. Ricordo
perfettamente quando mia madre metteva sul piatto un pezzo di pane secco,
ammorbidito nell’acqua, e condito con olio e sale: una bontà. Ci si divertiva e
sfamava con poco.
Erano i tempi della miseria e
della ricostruzione di un paese che guardava al suo futuro ancorandosi
fortemente ai mestieri e alla cultura del passato. Gli operai edili gettavano
calce in faccia ai muri degli altri, per poi, con abile maestria e docile
opportunismo, conservarne un po’ per loro stessi: nascevano così le case che
abitiamo ancora oggi, ultima cambiale in bianco di genitori a figli perduti nel
consumismo sfrenato del mondo di oggi dove, se si rompe una cosa, se ne compra
subito un’altra.
Nel mio quartiere trenta anni fa
c’erano almeno tre calzolai e due sarti. Oggi rimane, qualche volta, dipende
dal permesso di soggiorno, un rumeno che si è inventato di fare il calzolaio,
antico mestiere della porta accanto. Lui è bravo, ma ha pochi clienti italiani:
una scarpa è sempre meglio pagarla dai cento euro in su, altrimenti che scarpa
è?
A Dobbiaco, invece, in Val
Pusteria, un negozio di articoli sportivi per montagna tra i più famosi in Alto
Adige, rimette a posto le suole degli scarponi da trekking. Un miracolo di
sapienza e di risparmio. Lo scorso inverno ho visto recapitarmi a casa i due
scarponi di mia moglie di una nota marca completamente risuolati a nuovo, al modico prezzo di
80 euro (nuovi costano 250). Funzionano. E sono pure belli.
Così oggi, quando i miei mitici
scarponi di montagna, dopo 11 anni di onorato servizio, mi hanno lasciato improvvisamente a
piedi nudi a soli, per fortuna, 1900 metri di altitudine, ho pensato che dovevo
subito passare a Dobbiaco, che poi avrebbero mandato i miei scarponi in una
fabbrica del nord Italia, dove, manco a dirlo, gli operai sono tutti rumeni.
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