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venerdì 6 dicembre 2013

Nelson Mandela, il gigante che danza con gli uomini


Novantacinque anni di vita vissuta e ventisette anni in prigionia. Cinque milioni di bianchi padroni del Sudafrica, 40 milioni di neri dall’identità negata, mai registrati in alcuna anagrafe. Sono queste le cifre che raccontano chi sia stato, e chi è ancora, Nelson Mandela.
Il vero gigante della libertà, della giustizia e dei diritti umani, che ha saputo dare al secolo passato, il Novecento, una testimonianza fondamentale: la difesa non violenta della dignità umana.
Oltre l’Europa, persino oltre l’America dei diritti e delle opportunità. Ha saputo riscattare la storia del suo continente, mamma Africa, e il colore della sua pelle, il nero, facendo breccia nell’immaginario occidentale orfano di profeti e uomini politici da seguire.
Madiba, colonizzato per definizione, è riuscito invece a colonizzare “noi” e il nostro tempo, con il suo esempio e con una parola che, a dirla tutta, è stata praticata poco dalla cultura occidentale europea e americana: riconciliazione.
Sì, riconciliazione. Perché l’apartheid non si sconfigge da soli, o con un’insurrezione armata. Perché è stato possibile, dopo il sogno di Martin Luther King e Malcom X, che sì, è possibile vivere insieme bianchi e neri, poveri e ricchi, lavoratori e scansafatiche.
L’anima che ha accompagnato Nelson Mandela in giro per il mondo è stata la musica, il grimaldello giusto per aprire le porte del riscatto e della libertà. Un’anima meticcia, popolare, underground, blues, dove batteva il sound africano, quello vero. La musica lo ha trascinato via da quella cella e la musica lo ha celebrato prima della sua liberazione, prima che venisse conosciuto dal mondo. Quella grande musica africana che lo aveva già riconciliato con i suoi aguzzini.
Comincia Peter Gabriel, l’ex leader dei Genesis, con Biko, dedicato all’angelo nero della non violenza in Sudafrica. Nel 1970, Biko fondò il Black Consciousness Movement, movimento che puntava a sfidare l’apartheid non con le armi. Dopo, c’è solo lui, Nelson Mandela.
Il rock esplode di ritmi “neri”. Suonano per Madiba Bruce Springsteen, Bob Dylan, Lou Reed, Peter Gabriel, Jackson Browne, e Bono, leader degli U2. Il senegalese Youssou N’Dour titola Nelson Mandela il suo primo album distribuito negli Usa e l’11 giugno 1988, allo stadio londinese di Wembley, si celebra il Mandela Day. L’organizzazione dell’evento è affidata a Jerry Dammers degli Specials e Jim Kerr dei Simple Minds, che sul palco presentano un’altra canzone simbolo composta per l’occasione, Mandela Day. La grande musica abbraccia il gigante della libertà e della non violenza: Carlos Santana, Tracy Chapman, Dire Straits con Eric Clapton, Stevie Wonder, Sting, George Michael, Eurythmics, Joe Cocker, Phil Collins, Peter Gabriel. Da quel giorno, il meglio della musica mondiale celebra la parola freedom attraverso il volto e l’esempio di Nelson Mandela.
Ieri sera, dopo la notizia della sua morte, ho messo su un po’ di musica africana. Bellissima. E già mi immagino, oggi, in Paradiso, gli angeli che cantano portando per mano il volto felice e sorridente di Madiba. Il gigante che danza con gli uomini.

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