Novantacinque
anni di vita vissuta e ventisette anni in prigionia. Cinque milioni di bianchi padroni del Sudafrica, 40 milioni di neri
dall’identità negata, mai registrati in alcuna anagrafe. Sono queste le cifre
che raccontano chi sia stato, e chi è ancora, Nelson Mandela.
Il vero gigante della libertà, della
giustizia e dei diritti umani, che ha saputo dare al secolo passato, il
Novecento, una testimonianza fondamentale: la difesa non violenta della dignità
umana.
Oltre l’Europa, persino oltre l’America dei
diritti e delle opportunità. Ha saputo riscattare la storia del suo continente,
mamma Africa, e il colore della sua pelle, il nero, facendo breccia nell’immaginario
occidentale orfano di profeti e uomini politici da seguire.
Madiba, colonizzato per definizione, è riuscito
invece a colonizzare “noi” e il nostro tempo, con il suo esempio e con una parola
che, a dirla tutta, è stata praticata poco dalla cultura occidentale europea e americana:
riconciliazione.
Sì, riconciliazione. Perché l’apartheid non
si sconfigge da soli, o con un’insurrezione armata. Perché è stato possibile,
dopo il sogno di Martin Luther King e Malcom X, che sì, è possibile vivere
insieme bianchi e neri, poveri e ricchi, lavoratori e scansafatiche.
L’anima che ha accompagnato Nelson Mandela in
giro per il mondo è stata la musica, il grimaldello giusto per aprire le porte
del riscatto e della libertà. Un’anima meticcia, popolare, underground, blues,
dove batteva il sound africano, quello vero. La musica lo ha trascinato via da quella
cella e la musica lo ha celebrato prima della sua liberazione, prima che
venisse conosciuto dal mondo. Quella grande musica africana che lo aveva già
riconciliato con i suoi aguzzini.
Comincia Peter Gabriel, l’ex leader dei
Genesis, con Biko, dedicato
all’angelo nero della non violenza in Sudafrica. Nel 1970, Biko fondò il Black
Consciousness Movement, movimento che puntava a sfidare l’apartheid non con le
armi. Dopo, c’è solo lui, Nelson Mandela.
Il rock esplode di ritmi “neri”. Suonano per
Madiba Bruce Springsteen, Bob Dylan, Lou Reed, Peter Gabriel, Jackson Browne, e
Bono, leader degli U2. Il senegalese Youssou N’Dour titola Nelson Mandela il suo primo album distribuito negli Usa e l’11
giugno 1988, allo stadio londinese di Wembley, si celebra il Mandela Day. L’organizzazione dell’evento
è affidata a Jerry Dammers degli Specials e Jim Kerr dei Simple Minds, che sul
palco presentano un’altra canzone simbolo composta per l’occasione, Mandela Day. La grande musica abbraccia
il gigante della libertà e della non violenza: Carlos Santana, Tracy Chapman, Dire
Straits con Eric Clapton, Stevie Wonder, Sting, George Michael, Eurythmics, Joe
Cocker, Phil Collins, Peter Gabriel. Da quel giorno, il meglio della musica
mondiale celebra la parola freedom
attraverso il volto e l’esempio di Nelson Mandela.
Ieri sera, dopo la notizia della sua morte,
ho messo su un po’ di musica africana. Bellissima. E già mi immagino, oggi, in
Paradiso, gli angeli che cantano portando per mano il volto felice e sorridente
di Madiba. Il gigante che danza con gli uomini.
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