È
crisi. Nera, nerissima. Non si vede un quattrino in giro. Un Natale
duemilatredici da “guerra fredda”, post-ricostruzione bellica. Le vie glamour
del centro, luccicanti di vetrine e oggetti desiderabili, diventano specchio
dei portafogli vuoti e dei pensieri fragili. Non ci entra nessuno. Eppure hanno
abbassato i prezzi. Le camicie si trovano pure a vento euro, quasi quanto i
mercatini aggrediti da popolo e borghesia.
Bisogna
risparmiare. Punto e basta. È il nuovo lessico della sobrietà che sembra aver
rincorso gli italiani in questo ultimo scorcio di anno impunito e iper-tassato.
La tredicesima? Chi ce l’ha ci paga l’Imu, chi non ha questa fortuna si inventa
storie.
Gli affitti?
Non li paga più nessuno. Sono opzionali. Gli stipendi? Un mese sì, uno no, se
va bene. Le liquidazioni? Non pervenute. I supermercati? Vuoti. Resistono, in
parte, chi vende telefonini, computer e oggetti della comunicazione globale.
Solo il web regge. Forse perché ci fa sentire meno soli. In fondo, non costa
quasi niente. Specie se la bolletta telefonica la paga mamma e papà.
Si
parte per le vacanze. Anzi, si riparte per le “solite” vacanze. Quelle che fino
a venti anni fa erano lo status dell’italiano tipico. Si rimettono a posto i
muri di una volta. Tutta la famiglia al paesello d’origine, con la casa
ereditata dai nonni e il pane fatto in casa, fettuccine all’uovo, e passata di
pomodoro rigorosamente autoctona, preparata per tutti, da agosto a settembre.
Le vecchie zie ti vengono a trovare con le solite, e buonissime, torte e
crostate alla crema. Non mancano salamini e formaggi, quelli del pastore, è
chiaro.
Ah,
i nonni! Una bellezza, adesso che c’è la crisi. Se non ci fossero loro
sarebbero guai grossi. Pagano le bollette, aiutano in silenzio, fanno i baby
sitter, accompagnano i più giovani a scuola. Persino negli autogrill
dell’autostrada si fanno notare, con legittima punta di orgoglio: a pagare il conto
del mesto pranzo “familiare” sono sempre loro.
Benedetti
i nonni, dunque. Anima e cuore di un atteggiamento al risparmio che però è stato,
un cinquantennio fa, la fortuna dell’Italia. Mentre noi, oggi, non sappiamo
neanche cosa sia. Le chimere di un arricchimento facile e di una qualità di
vita benevola ci hanno corroso il corpo e la mente, restituendoci l’amara
realtà di un’economia allo sbando. Forse anche per colpa nostra. Un po’
creduloni, lo siamo per natura.
Siamo
tutti più soli, più poveri, persino più lontani. E ora tornare a essere “quelli
che eravamo” è terribilmente difficile. Forse impossibile. Solo cambiando il tempo
della perdita del potere d’acquisto con il tempo di una sobrietà liberatoria e
giusta, può essere la strada per riappropriarci di un destino nostro e molto,
ma molto, italiano.
E
allora, in questo sobrio, giusto e meritato Natale
duemilatredici, la pasta fatta in
casa torna a essere il grimaldello giusto per smuovere coscienze e cuori. Il sapore
del camino acceso, di un incontro di comunità, di famiglia, di amicizia. Rispuntano
i mazzi di carte, le tombole lasciate a marcire per troppo tempo negli
scantinati e nei sottotetti. Oltre i disordini di questo tempo malandato e
furente. Che andrebbe sgridato. E poi abbracciato, come si conviene a ogni figliol
prodigo.
Oggi,
venticinque dicembre di un duemilatredici che sembra, per mistero e privazione,
un venticinque di un millenovecentocinquanta, è l’ultimo giorno di una rincorsa
alla felicità che ha dimenticato l’Altro, il “noi” e l’etica della buona
speranza.
Non
c’è più scampo. Il portafoglio privo di euro scuote la pancia vuota
dell’italica gente.
Ma,
chissà: forse è anche una fortuna. Più stiamo messi male, più riscopriamo
energie nascoste, inventandoci mestieri e riscoprendo l’autoironia.
L’attesa
di questo giorno è anche, oggi, attesa di nuove risorse etiche, di tempi
diversi dove l'Altro non è più il
distante e l’estromesso.
Il
futuro che ci sembra di vivere non è mai stato così attaccato a un passato "italico" di
sobrietà e onestà, dove gli uomini si riappropriavano della loro libertà
costruendo, con le mani, la testa e il cuore, un paese più bello e più
solidale.
Buon
venticinque, Italia. La svolta
comincia da qui.
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