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giovedì 18 luglio 2013

Il (tragico) ritorno del pop parrocchiale


Giovanni da Palestrina dà magnificenza all’antichità. Bach, Mozart, Hendel, con i loro Alleluja e Sanctus, se suonati e interpretati da coro e orchestre professionali, danno dignità alla celebrazione liturgica. Il nostro Marco Frisina ci dice che la buona musica non ha tempo. Il gregoriano dà profondità allo Spirito, specie se ascoltato nella cornice silenziosa dell’abbazia di Sant’Antimo in Toscana. Le lodi del mattino della Comunità di Bose sono di una bellezza sconfinata, un canto sopra le nuvole del cielo. Arvo Pärt è musica dell’anima. Gli spirituals che rallegrano le liturgie dei neri d’America sono una danza a cielo aperto, come la messa domenicale della comunità congolese nel cuore di Roma. Persino Dove è carità e amore, in una chiesa di periferia abitata da vecchiette, ha un suo senso e un suo calore mistico.
Eppure molti considerano ancora (solo in Italia però accade) la musica “spirituale” e quella composta per la liturgia una sorta di “terra di nessuno” dove poter apporre divieti, censure, e a volte, per incredibile paradosso, lasciare il posto a emotività un po’ banali.
L’imbarazzante versione italiana dell’inno per la Gmg di Rio somma in un colpo solo tutto ciò che non dovrebbe fare una musica composta per il Signore. Si dirà: il filone degli inni per le Gmg è quello, e la “christian music” (così qualcuno l’ha definita, in anni di pastorali giovanili rivolte alla conquista di piazze e mercati), almeno nel nostro paese, è questa. Se solo però tendessimo l’orecchio oltre confine ci accorgeremmo di quello che pulsa nelle vene di chi loda il Signore con chitarre, oboi o percussioni.
Ascoltando alcun inni “giovanili” o band che professano il verbo della “christian music” mi viene da pensare che siamo di fronte a un tragico ritorno del pop parrocchiale. Peraltro brutto, non professionale, melenso. Che vuole copiare, con scarsissimi risultati, un sound americano a noi lontano per cultura e tradizione. Eppure i nostri paesi, le nostre campagne dimenticate, conservano ancora oggi tesori inestimabili di musiche sacre tra le più belle in circolazioni. Le Ave e Maria sarde, la “passione” abruzzese, le bande popolari pugliesi, le litanie siciliane, i cori alpini delle Dolomiti. Una musica divina (e popolare) lasciata nel dimenticatoio in favore di cori parrocchiali rabberciati dal fondo del barile che fanno scappare via i fedeli da una liturgia invece di accoglierli con il sound del creato. E abbiamo pensato, per anni, che la musica cosiddetta liturgica sia solo una scusa per stare insieme, fare comunità, invece di elevarla ad arte che dà bellezza, illumina l’anima, dialogo con il profondo di ciascuno di noi.
Mi chiedo: quando è che imbracceremo nelle nostre liturgie le armi della gioia e del riso? Quando è che canteremo i nostri Alleluja e Sanctus, con le nostre chitarre anche un po' scordate, che Dio ci libera e ci rende tutti fratelli? Quando è che le nostre preghiere domenicali diventeranno spirituals di liberazione e giustizia in barba a pretuncoli e capocoristi che se la cantano sempre e ostinatamente da soli? Quando, infine, canteremo la gloria del Signore con la musica del cuore, il vino che riscalda le vene, e il pane che sazia chi ha fame?

1 commento:

  1. Oserei aggiungere ai suoi quesiti un'ultima provocazione: quand'è che in Italia si tornerà a una seria educazione musicale; visto che la tendenza è quella di lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina? (Ef 4,14)
    In questi ultimi 40 anni le parrocchie sono diventate la cassa armonica di ogni arbitrio musicale. E i prelati - mi creda -, pur di non svuotare la chiesa di giovani si sono adattati a tutto, anche a quello che troppi sedicenti musicsti chiamano "sacro", ignorando però che non è "liturgico". E' così che la Messa diventa il palcoscenico dell primo ragazzino che, imbracciando la sua chitarra, zappa (non suona) sulle corde la prima melodia che gli aggrada perché udita su MTV o su Dancing Channel, credendo di aver fatto un servizio all'assemblea e, perciò, meritevole del paluso ecclesiatico...
    Prima d'invocare il sacrosanto diritto all'anarchia liturgica, chiediamoci perché, mentre noi continuiamo nelle nostre chiese a raccattare l'immondia altrui, gli "altrui" nelle loro cantano: Palestrina, Monteverdi, Perosi, Bartolucci...
    Saluti
    don Maurizio Roma

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