La sedia vuota in un concerto di
musica classica. Le omelie quotidiane da Santa Marta che sono cazzotti in
faccia agli amanti di un certo clima ecclesiale autoreferente. La commissione
sullo Ior. La commissione sulla riforma della Curia. L’enciclica a quattro
mani. La lavanda dei piedi a una donna detenuta e musulmana. La Chiesa che deve
essere madre, non baby sitter. Il rifiuto dell’appartamento pontificio. Il
rifiuto delle vacanze nella villa pontificia di Castel Gandolfo. Il “buonasera”
a tutti. Il “pregate per me”. Il “basta” ai gentiluomini del papa.
Poi, oggi, all’improvviso, come
se lo Spirito scendesse di nuovo sulla terra dopo quel mai dimenticato 13
marzo, l’annuncio che andrà a Lampedusa. Terra e mare dei margini, del cammino
migrante, della ricerca di libertà e dignità. Dopo che il silenzio, anche
pastorale, ha risieduto per lungo tempo lungo gli argini della provvisorietà di
questa sfortunata e bellissima isola.
La Chiesa c’è. Francesco, Pietro,
muove la barca in direzione Sud.
Una carezza, forse. Un sorriso,
forse. Oggi però possiamo dirlo a voce alta, con orgoglio misto a sorpresa: il
roveto ardente del vangelo accende, con Francesco, i cuori di un’umanità
distratta e maltrattata, lasciata sola al suo destino. Restituendo alla laicità
di uno Stato assente, quel surplus di
amore per l’uomo che non conosce confini geopolitici o religiosi.
Un gesto profetico quello di
Francesco. Sulle acque del mare Mediterraneo, sventola la bandiera di un
cristianesimo che si riprende in mano le redini di una costruzione della città
dell’uomo a misura d’uomo cominciando dai suoi diritti fondamentali.
Che altro c’è da aspettarsi da
papa Francesco?
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