La
Croce di legno di barca. L’altare costruito da mani di pescatori. I fiori in
mare, in onore e memoria di chi non c'è più. I canti semplici di una parrocchia isolana. Il buon Ramadan. L’O’ scià.
Il vento di Lampedusa che sembrava accarezzare le note di Volare, la memoria sonora del suo residente illustre, il mare e
l’abbraccio con ogni terra di ogni luogo e nazione.
Oggi
è festa. Come è giusto che sia quando pianto e riso si uniscono in un tenero
abbraccio. Per un attimo, un giorno, qualche ora, anche in uno degli ultimi
approdi di un Mediterraneo troppe volte dimenticato, abbiamo
ascoltato parole che non ascoltavamo da anni, da quando i “nostri” vecchi ci
hanno lasciato: giustizia, pietà, accoglienza, amore, carità, identità,
tolleranza, rispetto, dignità.
Ci
voleva un prete “venuto da lontano” a scompigliare il lessico della buona
speranza. Che, oggi, in avamposto mediterraneo di saline e tonnare, trova pace
nell’invocazione finale alla Madonna di Lampedusa, protettrice dell’isola.
Oggi
è giorno di venti leggeri. Di Vangelo arruffato e sbuffato come la spuma delle
onde in battigia. Che bagna il volto dell’insensibilità, dell’indifferenza. Che
asciuga le ferite.
Oggi
la croce di legno restituisce, in parte, non i morti di mare, ma la certezza che
il cammino di ogni popolo migrante è benedetto da Dio. E amato dagli uomini.
Ci voleva
Lampedusa. Ci voleva Francesco.
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