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martedì 9 luglio 2013

Francesco 9 / La lezione di Lampedusa


La breve visita a Lampedusa di Francesco dimostra che tanto è cambiato nella politica diplomatica ed ecclesiastica della Santa Sede con l’avvento del nuovo papa. Non è solo un toccare con mano e stare vicino alle sofferenze dell’umanità, come il Vangelo richiama più volte e come la storia secolare stessa della Chiesa insegna. Papa Francesco, sbarcando a Lampedusa, prega con gli immigrati, è vicino a loro, dà una parola di speranza. Ma, soprattutto, incoraggia le istituzioni e la politica a una nuova etica di responsabilità civile affinché ci si prenda cura di ogni uomo in estremo bisogno. Di qualsiasi colore, da ogni luogo provenga e qualsiasi religioni professi.
In una delle sue omelie, il papa ha detto a riguardo «Nessuno ci può rubare questa carta di identità. Mi chiamo così: figlio di Dio! Stato civile: libero!”. L’abc della cittadinanza, secondo Francesco. Nel sostanziale silenzio delle istituzioni rispetto al dramma dei migranti e al lavoro sommerso e nascosto che tante comunità cristiane e associazioni fanno quotidianamente a fianco di coloro che lasciano il proprio paese per trovare un lavoro e una dignità rispettata, Francesco piomba a Lampedusa (“in modo discreto”, come spiega una nota vaticana) con il suo carico di umanità e sorriso. Portando con sé il bastone del pastore, più che la sacralità del trono.
In realtà, dietro la visita all’isola siciliana, c’è una riconsiderazione di una presenza politica del Vaticano rispetto al nostro paese notevolmente diversa dai precedenti successori di Pietro. Qualcuno parla di “non interventismo”. Che ci pensi la Cei a trattare con lo Stato italiano. Così il papa ha rivolto il suo suggerimento ai vescovi italiani.
Fatto sta che Francesco interviene eccome, stabilendo un punto di rottura e di discontinuità con certe scelte diplomatiche e politiche degli ultimi vent'anni in particolare della Chiesa italiana, intese a propendere più per una mediazione con il potere che rendesse visibili anche al mondo laico i cosiddetti “valori non negoziabili”. In primis il valore della vita umana, dall’origine al termine dell’esistenza; il valore della famiglia, fondata sull’unione perenne tra uomo e donna. Anche, certo, il valore della giustizia sociale e la pace. Qui, invece, si fa un passo in più. Francesco irrompe nella scena pubblica con i valori del Vangelo che sono davvero, secondo lui, non negoziabili, e che hanno l’opzione della prima scelta: il bene comune, la dignità di ogni uomo di fronte alla sofferenza e all’ingiustizia.
Francesco non media alcun ché. Non interessa accordi sotto banco con il governo di turno. Non chiede soldi per le scuole cattoliche, non si impiccia di questioni etiche che toccano la coscienza individuale. Al contrario, racconta all’Italia e al mondo, con un gesto fortemente “politico” e profetico allo stesso tempo, che la Chiesa non dimentica chi soffre ed è vicina in tutte le situazioni in cui i diritti umani sono calpestati.
Che Francesco sia in “continuità” o “discontinuità” con Benedetto XVI importa poco. Quello che emerge invece Oltretevere è una linea pastorale e diplomatica che non è divisa tra teologia e prassi ma che, dal Vangelo, sa prendere quella “luce della fede”, come scritto nell’enciclica Lumen Fidei, che trasforma il mondo. Lampedusa, in questo senso, non sarà l’unico gesto isolato. Ne vedremo degli altri.
Non è più tempo, per Francesco, di fare campagne politiche o battaglie civili per argomenti certamente importanti ma lontani dalle preoccupazioni della gente comune. Oggi c’è la crisi economica. Il bene comune rincorre a fatica la sua attualizzazione dietro politiche fiscali che non tengono conto dello sviluppo economico e sociale. Il mondo arabo è in fermento, i popoli si mettono in marcia sulle vie della libertà.
Al di là di tante parole, Francesco oggi restituisce all’umanità dolente quel raggio di speranza che fa la differenza tra un uomo e un suddito.
La politica è avvertita. Più di prima, e meglio di prima.

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