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mercoledì 17 luglio 2013

Francesco 10/ Pastori di popolo e non chierici di stato. Parola di Francesco


Questo articolo appare oggi su Vatican Insider

Un appuntamento da non mancare. E un invito diretto, personalissimo, quasi inaspettato, quello che il card. Agostino Vallini, vicario del papa per la diocesi di Roma, ha spedito di sua mano ai parroci della città capitolina. Il prossimo 16 settembre, nella basilica di San Giovanni in Laterano, papa Francesco incontrerà il clero della diocesi di Roma e i sacerdoti che collaborano nei diversi ministeri diocesani «per essere confermati nella fede e incoraggiati nel ministero. Per prepararci all’incontro – continua il card. Vallini – il Papa mi ha chiesto di inviarvi il testo di una Sua riflessione fatta ai sacerdoti dell’arcidiocesi di Buenos Aires nel 2008, dopo la Conferenza dell’Episcopato Latino-americano ad Aparecida (Brasile)».
A Roma, da quando è arrivato Francesco, tira aria di rinnovamento pastorale. La città, per motivi storici legati alla sua cultura papalina, certe volte sembra faccia fatica a fronteggiare una rivoluzione teologica, pastorale ed ecclesiale come quella del “papa venuto da lontano”. Il card. Vallini, invece, è tutto preso dal suo nuovo vescovo e da questa “tensione spirituale”, come usa dire quando si reca in visita pastorale nelle parrocchie, e non perde occasione per ricordare ai suoi preti di appassionarsi sempre di più al dialogo con il mondo e sempre di meno alle loro “funzioni” ecclesiali.
Prova ne è il documento che ha dato da leggere per prepararsi al documento del papa. Ce ne è  per tutti. Parola di Francesco. Un buon sacerdote si legge nel documento, esclude dalla sua vita la “carriera ecclesiastica”, con i suoi meccanismi di progresso, di scalata, di retribuzioni. E ancora: l’identità del presbitero, in relazione alla comunità, è un dono, in contrapposizione a “delegato” o “rappresentante”. In secondo luogo, evidenzia la fedeltà alla chiamata del Maestro, contrapponendola alla “gestione”.
Parole che non fanno sconti. Si parla di “atteggiamenti nuovi”. «La prima esigenza è che il parroco sia un autentico discepolo di Gesù Cristo, perché solo un sacerdote innamorato del Signore può rinnovare una parrocchia. Nel contempo, però, deve essere un ardente missionario che vive nel costante anelito di andare alla ricerca dei lontani e non si accontenta della semplice amministrazione». Che l’opzione per i poveri, continua papa Francesco, sia “preferenziale” significa che «deve attraversare ogni nostra struttura e priorità pastorale». Oggi «difendiamo troppo i nostri spazi di privacy e godimento, e ci lasciamo contagiare facilmente dal consumo individualista. Perciò, la nostra opzione per i poveri corre il rischio di rimanere a livello teorico o meramente emotivo, senza una vera incidenza nei nostri atteggiamenti e nelle nostre decisioni».
Ma il passo della lettera più eclatante è questo: «dietro questi richiami espliciti vi è l’ansia implicita del nostro popolo fedele: ci vuole pastori di popolo e non chierici di Stato, funzionari. Uomini che non si dimentichino di essere stati “tratti dal gregge”, che non si dimentichino “della propria madre e della propria nonna” (2 Tim 1:5); presbiteri che si difendano dalla ruggine della “mondanità spirituale”, che costituisce “il più grande pericolo, la tentazione più perfida, quella che rinasce sempre - insidiosamente - quando tutte le altre sono state già sconfitte, e riprende nuovo vigore con le stesse vittorie...”. “Se questa mondanità spirituale invadesse la Chiesa e lavorasse per corromperla attaccandola nella sua essenza, sarebbe infinitamente più devastante di ogni altra mondanità semplicemente morale. Peggio ancora di quella lebbra infame che, in alcuni momenti della storia, distrusse l’immagine della Sposa amata, quando la religione sembrava essere la miccia dello scandalo nel santuario stesso e, rappresentata da un Papa libertino, nascondeva il volto di Cristo sotto pietre preziose, tosature e spie... La mondanità spirituale è ciò che praticamente si presenta come un distacco dall’altra mondanità, il cui ideale però, tra l’altro spirituale, sarebbe l’uomo e il suo perfezionamento, al posto della gloria di Dio. La mondanità spirituale altro non è se non un atteggiamento antropocentrico... Un umanesimo sottilmente nemico del Dio Vivente e - segretamente, non meno nemico dell’uomo - può annidarsi in noi attraverso mille sotterfugi”» (De Lubac, Meditaciones sobre la Iglesia,Pamplona 2 ed. pp.367-368 ).
Senza se e senza ma, la rivoluzione chiamata Francesco è sbarcata a Roma.

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