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mercoledì 3 settembre 2014

Papa Francesco e i resistenti alla riscossa


Aveva ragione chi scriveva e pensava prudentemente, nei primi sei mesi del pontificato bergogliano, che la resistenza a papa Francesco non avrebbe indietreggiato. Anzi, con il tempo giusto, si sarebbe organizzata, contata, e avrebbe cominciato, pian piano, a muovere prima la fanteria e poi le truppe corazzate.
Cominciamo dall’evento prossimo, il Sinodo sulla famiglia di ottobre. Per adesso buio pesto. A parte l’Instrumentum laboris sulle sfide della pastorale sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione distribuito ai media, e redatto per gli specialisti, cosa succederà realmente nel consesso sinodale? I due contendenti della singolar tenzone, i card. Kasper e Muller, non aspettano altro che dirsele attraverso i media, perché, almeno mediaticamente, non rappresentano altro che i capofila dell’attuale contrapposizione tra chi è favorevole a una pastorale di accoglienza riguardo ai divorziati-risposati e chi no. Ma è chiaro che dietro questo atteggiamento “culturale” si nasconde l’anima di uno scontro molto più duro tra l’anima tradizionalista e conservatrice della Chiesa cattolica, cresciuta soprattutto sotto (e all’insaputa) del pontificato di Benedetto XVI, e chi invece, forte del nuovo vento voluto da papa Francesco, ha inteso dare fondo a sentimenti di gioia e nuova speranza per una Chiesa del dialogo. Mentre, a volte, è più utile lavorare nel silenzio delle stanze che contano.
Certo, alla Cei c’è un uomo e un prete del calibro di mons. Nunzio Galantino, che sta letteralmente scardinando il lessico “istituzionale” e (persino) pastorale della Chiesa italiana, orfana di Berlusconi e di valori non negoziabili, e il Sinodo sulla famiglia ha due segretari per niente allineati al vecchio corso, il card. Lorenzo Baldisserri e l’attuale arcivescovo di Chieti, il teologo Bruno Forte, e per di più, con calma tutta gesuitica, il papa sta cambiando anche parecchi membri delle Congregazioni e dei Pontifici consigli.
Ma c’è un “ma”. Che va oltre quel vangelo degli anni duemila che è l’Evangelii Gaudium. Papa Francesco indica un modo d’agire, regala al mondo l’immagine evangelica della Chiesa ospedale da campo dopo la battaglia, ma ai resistenti (che sono tanti), non gliene importa nulla di tutto questo. L’importante è che il papa non scriva, non ordini, non legiferi, non metta nero su bianco. La riforma della curia si è un po’ impantanata nelle sabbie mobili della curia stessa. Il messaggio del papa è stato chiaro: pensateci voi a riformare voi stessi. Figuriamoci! Del famoso questionario compilato dal popolo di Dio per il Sinodo prossimo non si sa più nulla. Verrà fuori durante le riunioni? Qualcuno ne prenderà atto? E sullo Ior, aspettiamo nei fatti cosa accadrà nei prossimi anni, quando le acque si saranno calmate e magari Francesco sarà altrove.
I tradizionalisti sono in piena estasi. Vanno a trovare Benedetto XVI, il papa emerito che aveva promesso che si sarebbe rinchiuso in preghiera e solitudine. Aumentano, dove trovano vescovi compiacenti (e ce ne sono molti di più di quello che si creda…) le loro pretese di celebrare la Messa tridentina. Il vescovo di Ferrara invita la popolazione a non fare elemosina per strada perché così si incrementa la delinquenza. Altri tirano fuori gli artigli rimasti in letargo per un po’, e non si danno pace sui valori non negoziabili.
Alla Cei tutti davano per scontato, per novembre, un cambio al vertice visto che si dovrebbe approvare il famoso regolamento sull’elezione del Presidente stesso. Invece l’attuale Presidente, il card. Bagnasco rimane, fino alla sua naturale conclusione, nel 2017. Il gesuita Bergoglio è davvero un gesuita, e una Chiesa di vinti e vincitori proprio non la sopporta: la Chiesa per Francesco è e non potrà essere che unita. Progressisti e conservatori insieme (senza esagerare...).
Insomma, i resistenti si danno da fare. Capiscono che c’è margine di manovra. Il punto, oggi, non è quanto essi riescano a far valere le loro ragioni, peraltro lontane dalla storia di una Chiesa “in libera uscita”. Ma a preoccupare un po’ è la voce di coloro che, invece, si aspettavano, finalmente, una Chiesa diversa, libera, coraggiosa e sulla strada della profezia del vangelo. Una voce che ha trovato subito molti simpatizzanti, laici, atei, agnostici, o lontani dalla Chiesa. Una voce che si chiede, oggi, se è ancora ascoltata e soprattutto se ha libero acceso a una riforma complessiva della Chiesa, che è non solo teologale ma anche e soprattutto istituzionale. Le domande di nuova speranza e nuovo annuncio missionario non potranno rimanere inevase, dopo che sono state accolte e riconosciute da papa Francesco.
Su questo Bergoglio non potrà commettere errori. Più di una nomina di curia, più di una riforma della stessa, rimane il problema se la Chiesa tutta è davvero pronta a incamminarsi sulla strada del sorriso e dell’abbraccio con l’altro, abbandonando definitivamente la pratica di una religione civile fine a se stessa e al potere che talvolta logora anche chi ce l’ha.
I prossimi mesi ci diranno qualcosa in più. Ma la battaglia impazza, e Francesco comincia a essere stanco.

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