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martedì 2 settembre 2014

La sobrietà come ultimo antidoto alla deflazione


La nostra generazione ha conosciuto solo un termine economico: inflazione. Era il dolce gabello della lira italica, aggiustata e costruita per i salari in aumento, i consumi in eccesso, i tassi bancari con segno più”. Una moneta, la lira, in tempi di magra, persino svalutata. Linflazione che sale è segno che leconomia si muove, così almeno scrivono i manuali. Certo, bisognerebbe vedere in quale direzione si muove. Ma, oggi, questo problema è superato. Siamo in deflazione, come nel lontano 1959. Tutto fermo. I consumi non crescono, figuriamoci i salari, le famiglie non spendono. E, nellattesa che la frutta scenda di prezzo, poca gente al mercato. Contribuendo, quindi, ancor di più alla crisi.
È lItalia di questa estate duemilaquattordici dei segni meno e del tempo autunnale. Il termine deflazione sembra non appartenere più ai manuali di economia: fa parte ormai dello status di precariato sociale che avvolge la nostra penisola in una spirale di depressione cronica. Nonostante un giovane presidente del Consiglio continui a spronare le famiglie e i consumatori in un atto di fede nel buon futuro. I provvedimenti maggiori del Governo portano il nome, appunto, di sblocca-Italia.
Eppure, al di là dei termini giornalistici, basta percorrere le autostrade del belpaese per accorgersi dellimpasse. Non c’è proprio nessuno. Si viaggia che è un piacere, niente file oceaniche, e il famoso esodo di agosto se ne è andato a dormire. E sì che già da un paio danni lAutosole era lo specchio dei nostri giorni, con tutte quelle automobili cariche allinverosimile di ogni cianfrusaglia (proprio come quaranta anni fa), in partenza per i paesi natii e con a bordo i nonni (altrimenti chi lo paga il viaggio e la sosta allautogrill?).
Anticipavano il presente. Così, oggi, poche automobili familiari, e pochi nonni: evidentemente devono aver finito la cassa comune. La pensione serve a tante cose: ad alleviare i disagi del figlio disoccupato, a pagare le bollette dellaltro figlio, e a regalare la vacanza-studio allestero al caro nipote.
C’è crisi, si vede. Non c’è viaggio. Non c’è sogno di futuro diverso. Nessuno che sorride allautogrill, nessuno che si arrabbi. Ci si abitua pian piano a raccattare le piccole briciole rimaste. Gli stabilimenti balneari vuoti, le montagne libere dal chiacchiericcio inutile, le autostrade vuote dei rumori, le parole orfane di racconti.
C’è solo un risvolto della medaglia che il termine deflazione non contempla: sobrietà. Sì, esatto: sobrietà, e non risparmio, come nel dopoguerra abbiamo imparato a conoscere, anche perché oggi non si risparmia più niente.
Sobrietà, dunque, come una parola che evoca quasi scenari spirituali francescani. E sobrietà, come ultimo antidoto alleuro tedesco e alla spesa pubblica italiana, propiziatrice di ethos positivo e di pratica virtuosa a quel (ri)abituarsi al fare con poco.
Forse i grandi economisti e i ricchi banchieri dovranno aggiornare il lessico della crisi economica. La sobrietà, che gli italiani quando vogliono sanno praticare molto bene, sconfiggerà la deflazione. E anche linflazione. È una parola che va a braccetto con bene comune, e che dovrebbe trovare posto nei nostri comportamenti pubblici, come altolà allo sperpero dei consumi, e come uso buono e consapevole di alcune pratiche quotidiane di attenzione al denaro, cominciando dal bilancio familiare.
Talvolta (spesso) la macroeconomia dipende dalla microeconomia. È un atteggiamento culturale ed etico importante che, più di provvedimenti governativi, che pure servono, può essere davvero il grimaldello giusto per sbloccare il nostro paese. E può tornare utile come pratica virtuosa che viene dal basso, sperando che si allarghi presto nella sfera pubblica. 

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