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mercoledì 29 ottobre 2014

L'opzione per i poveri di papa Bergoglio


Tierra, techo, y trabajo. Papa Francesco non ci va per il sottile. Le tre “t” latinoamericane fanno breccia nell’immaginario occidentale così preso dall’ascolto del trend di borsa, dello spread, e di un Pil che non cresce mai, se non a favore di chi già ricco è. Già: terra, tetto, lavoro. I tre punti fondamentali del nuovo lessico bergogliano che mette in disparte la consueta prudenza diplomatica e sintetizza, felicemente e come lui sa fare, tutto un secolo di Dottrina Sociale della Chiesa. È bastato l’incontro con i Movimenti Popolari, ricevuti nell’Aula Vecchia del Sinodo in Vaticano, per dare linfa a nuova speranza di vita migliore, sottolineando che bisogna rivitalizzare le democrazie, sconfiggere la fame e la guerra, garantire a tutti la dignità, soprattutto ai più poveri e marginalizzati. 
In queste tre parole c’è tutta la summa di una storia millenaria della Chiesa cattolica accanto alle masse popolari (ecco, perché, giustamente, Francesco ha rivendicato il fatto che sì, lo chiamano “comunista”, ma lui ama solo i poveri e serve il vangelo) e ai più poveri. Solo che, dopo le recenti e belle encicliche di Giovanni Paolo II (Laborem exercens, Centesimus Annus) e di Benedetto XVI (Caritas in veritate), Francesco fa un passo più in là – nel senso geopolitico del termine –, spostando la latitudine della Dottrina Sociale verso i pianeti sconosciuti della povertà dell’Altro mondo. Quello, appunto, poco frequentato dalle tv occidentali e dai grandi summit delle superpotenze, troppo impegnati a raccontare il dramma di un Pil che non cresce e, molto meno, il disastro di una disoccupazione sempre più emergente. È come se papa Francesco abbia condensato in una sola frase Medellin, e poi Puebla, e poi Aparecida, i tre momenti della Conferenza episcopale latino americana in cui la teologia della liberazione ha accompagnato una riflessione teologica in dialogo con la storia del mondo. In particolare, di un mondo ammalato, povero, emarginato, pieno di contraddizioni economiche e sociali.

Francesco va oltre. Ricorda a tutti, e in special modo all’Occidente ricco e opulento, che anche la crisi che attraversiamo, la “nostra crisi”, quella che ci fa sentire tutti più fragili e più piccoli rispetto all’economia globale, è poca roba rispetto al dramma sociale dell’Altro mondo. Che oggi è l’America Latina, e quella fetta di Asia che non riesce a stare dietro Cindia (il grande impero di Cina e India) e il paradosso di un capitalismo, forse atipico, che non fa rima con democrazia.
E l’Africa, il grande continente africano? Ce ne stiamo dimenticando. Già: terra, tetto e lavoro. Tre parole così “terrene”, ecologiche, intrise di sudore e dignità, che faticano a collegarsi, nemmeno virtualmente, ai vari spread, bond, tassi, e a un lessico finto-capitalista buono solo per far aumentare i già lauti guadagni ai salotti “in” della politica e della finanza e togliere dignità ai “semplici” lavoratori delle metropoli e delle campagne dell’Altro mondo.
L’opzione per i poveri di Francesco sa di vangelo, odora di vangelo, prende a prestito le parole e la vita di Gesù per convertire il dio-denaro nel Dio della speranza. Non può stare in mezzo, alla ricerca di mediazioni e parole dolci buone per le conferenze e la diplomazia. Qui si va oltre. Si assaggia il cammino di Gesù insieme a quello di ogni uomo. Si ascolta il grido del povero come restituzione del maltolto. Si grida forte che tierra, techo, y trabajo, queste sì, hanno dimora agli occhi di Dio.
E in queste tre “t”, all’inizio dall’aria innocente, c’è dentro tutta la forza dell’abbraccio evangelico che cambia le coscienze ma trasforma anche il mondo. La Chiesa cattolica, con le sue missioni, con i suoi preti e laici sparsi negli angoli più lontani del pianeta, ogni giorno, ogni ora, si adopera per stare vicino ai poveri e alle povertà. Qualche volta a rischio del martirio. Con papa Francesco questo impegno pastorale diventa occasione per pronunciare parole nuove di politica economica e welfare state. E il vangelo scardina, per una volta tanto, le certezze di un sistema globale dove la finanza è più importante della politica, e dove le società più ricche stanno spartendosi quello che resta della buona terra.
Ripartire da qui: terra, tetto e lavoro. Per la dignità dell’uomo. Per un nuovo capitalismo ecologico e umanesimo sociale. E per una giustizia redistributiva dei beni che non è nostalgia per un passato idealista, ma svolta lungimirante per un futuro che non può non ripartire da qui: terra, casa e lavoro per tutti.




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