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martedì 9 aprile 2013

Francesco 4 / Le prime cinque mosse di papa Francesco


Papa Francesco, da buon gesuita, gestisce questo tempo di passaggio dall’era ratzingeriana con parsimonia e attenzione. C’è da risolvere parecchi problemi, in primis il riordino della curia vaticana. Mentre per l’annuncio del vangelo già siamo entrati in piena era “francescana”, con uno stile semplice e gesti improntati alla massima sobrietà.
In tempi non lunghi ma cadenzati a ritmi regolari, il nuovo papa dovrà cominciare a delineare la sua idea di Chiesa, anche nel governo temporale. Ne individuiamo 5 punti.
1. Il segretario di Stato. La questione delle questioni. Chi succederà al card. Tarcisio Bertone? Scelta non facile, ma la più imminente e importante. Altri pontefici scelsero il proprio segretario di Stato all’indomani della loro elezione. Ciò non è successo con Francesco. È chiaro dunque che la sua elezione non è stata il frutto di un accordo politico, ma di una reale condivisione di prospettive sul futuro della Chiesa da parte dei cardinali elettori. Chi sarà, dunque? C’è da dire che la scuola diplomatica vaticana è una delle migliori in circolazione e gli italiani rappresentano una tradizione di eccellenza. In questi giorni alcuni hanno fatto il nome di Lorenzo Baldisseri, numero due della Congregazione dei Vescovi. È stato il segretario del Conclave appena passato e Francesco ha posto sul suo capo, appena eletto, il suo zucchetto rosso, segno della dignità ecclesiale cardinalizia. Sarà dunque lui il prossimo segretario di Stato?
2. Propaganda Fide. È il dicastero dell’evangelizzazione dei popoli. Fondamentale. A capo adesso c’è l’italiano Fernando Filoni, scelto da Ratzinger. È indubbio che l’evangelizzazione e la missionarietà dell’annuncio della Parola di Dio è il punto di svolta dell’attuale pontificato. Il mondo e i popoli hanno bisogno di speranza. La Chiesa universale come vorrà abbracciare questa speranza?
3. Lefebre, ancora Lefebre. Il nodo con i tradizionalisti non è ancora sciolto. In questi ultimi anni più la Chiesa cattolica ha concesso fiducia al movimento lefebriano più i seguaci del vescovo francese hanno continuato a erigere muri e diffidenze. Nel gennaio scorso il numero due della Pontificia commissione Ecclesia Dei, Joseph Augustine Di Noia, istituita da Giovanni Paolo II per ricucire lo strappo con la Fraternità Sacerdotale Pio X di Lefebre, ha scritto, in forma privata, ai tradizionalisti per invitarli alla piena riconciliazione. Ma loro non si danno per vinti. È un punto cruciale questo: il motu proprio del 2007 voluto da Ratzinger sulla liberalizzazione della messa in latino se richiesta dai fedeli, tra i più contestati in assoluto, è stato il frutto di un piano di mediazione più che di una reale prospettiva evangelica e che probabilmente è andato oltre gli scopi che si era prefisso. Dando fiducia e spavalderia ai simpatizzanti del Concilio di Trento.
4. L’elezione del presidente della Cei. In Italia l’assemblea dei vescovi è a “sovranità limitata”. Il suo presidente e il segretario generale lo sceglie direttamente il papa contrariamente a quanto avviene negli altri paesi. Così non sarà più con Francesco. La collegialità e la corresponsabilità nelle scelte del governo della Chiesa non riguarderanno più unicamente il pontefice. Un presidente della Cei eletto direttamente dai vescovi italiani è una novità assoluta, che potrebbe portare esiti inattesi.
5. Ior. Riformarlo o eliminarlo definitivamente? Al centro degli ultimi scandali, compreso Vatileaks, l’Istituto Opere di religione, cioè la banca vaticana, l’anno scorso è stato trovato non del tutto in linea con gli standard europei sul riciclaggio del denaro dall’organismo del Consiglio d’Europa che si occupa della trasparenza finanziaria. Giovanni Paolo I non fece in tempo a mutarne il volto. E forti resistenze ci sono anche oggi. Ma è il popolo dei fedeli, insieme a molti cardinali, che se lo chiedono: a cosa serve lo Ior?

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