Papa
Francesco, da buon gesuita, gestisce questo tempo di passaggio dall’era
ratzingeriana con parsimonia e attenzione. C’è da risolvere parecchi problemi,
in primis il riordino della curia vaticana. Mentre per l’annuncio del vangelo
già siamo entrati in piena era “francescana”, con uno stile semplice e gesti
improntati alla massima sobrietà.
In
tempi non lunghi ma cadenzati a ritmi regolari, il nuovo papa dovrà cominciare
a delineare la sua idea di Chiesa, anche nel governo temporale. Ne individuiamo
5 punti.
1. Il
segretario di Stato. La questione delle questioni. Chi succederà al card.
Tarcisio Bertone? Scelta non facile, ma la più imminente e importante. Altri
pontefici scelsero il proprio segretario di Stato all’indomani della loro
elezione. Ciò non è successo con Francesco. È chiaro dunque che la sua elezione
non è stata il frutto di un accordo politico, ma di una reale condivisione di
prospettive sul futuro della Chiesa da parte dei cardinali elettori. Chi sarà,
dunque? C’è da dire che la scuola diplomatica vaticana è una delle migliori in
circolazione e gli italiani rappresentano una tradizione di eccellenza. In
questi giorni alcuni hanno fatto il nome di Lorenzo Baldisseri, numero due
della Congregazione dei Vescovi. È stato il segretario del Conclave appena
passato e Francesco ha posto sul suo capo, appena eletto, il suo zucchetto
rosso, segno della dignità ecclesiale cardinalizia. Sarà dunque lui il prossimo
segretario di Stato?
2. Propaganda
Fide. È il dicastero dell’evangelizzazione dei popoli. Fondamentale. A capo
adesso c’è l’italiano Fernando Filoni, scelto da Ratzinger. È indubbio che
l’evangelizzazione e la missionarietà dell’annuncio della Parola di Dio è il
punto di svolta dell’attuale pontificato. Il mondo e i popoli hanno bisogno di
speranza. La Chiesa universale come vorrà abbracciare questa speranza?
3. Lefebre,
ancora Lefebre. Il nodo con i tradizionalisti non è ancora sciolto. In
questi ultimi anni più la Chiesa cattolica ha concesso fiducia al movimento
lefebriano più i seguaci del vescovo francese hanno continuato a erigere muri e
diffidenze. Nel gennaio scorso il numero due della Pontificia commissione
Ecclesia Dei, Joseph Augustine Di Noia, istituita da Giovanni Paolo II per
ricucire lo strappo con la Fraternità Sacerdotale Pio X di Lefebre, ha scritto,
in forma privata, ai tradizionalisti per invitarli alla piena riconciliazione.
Ma loro non si danno per vinti. È un punto cruciale questo: il motu proprio del
2007 voluto da Ratzinger sulla liberalizzazione della messa in latino se richiesta
dai fedeli, tra i più contestati in assoluto, è stato il frutto di un piano di
mediazione più che di una reale prospettiva evangelica e che probabilmente è
andato oltre gli scopi che si era prefisso. Dando fiducia e spavalderia ai
simpatizzanti del Concilio di Trento.
4. L’elezione
del presidente della Cei. In Italia l’assemblea dei vescovi è a “sovranità
limitata”. Il suo presidente e il segretario generale lo sceglie direttamente
il papa contrariamente a quanto avviene negli altri paesi. Così non sarà più con
Francesco. La collegialità e la corresponsabilità nelle scelte del governo
della Chiesa non riguarderanno più unicamente il pontefice. Un presidente della
Cei eletto direttamente dai vescovi italiani è una novità assoluta, che
potrebbe portare esiti inattesi.
5. Ior. Riformarlo
o eliminarlo definitivamente? Al centro degli ultimi scandali, compreso
Vatileaks, l’Istituto Opere di religione, cioè la banca vaticana, l’anno scorso è stato trovato non
del tutto in linea con gli standard europei sul riciclaggio del denaro dall’organismo
del Consiglio d’Europa che si occupa della trasparenza finanziaria. Giovanni
Paolo I non fece in tempo a mutarne il volto. E forti resistenze ci sono anche
oggi. Ma è il popolo dei fedeli, insieme a molti cardinali, che se lo chiedono:
a cosa serve lo Ior?
Nessun commento:
Posta un commento