Articolo pubblicato nel numero di marzo de L'Eco di San Gabriele
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, “ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”».
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, “ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”».
Con queste parole, scritte nero su bianco,
da papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la Chiesa universale ridisegna le tappe di una
missione ad gentes attraverso la
gioia dell’annuncio. La buona notizia, oggi, con Francesco, è gioia e speranza,
dialogo con l’uomo, con chi non crede, chi è lontano, chi è povero, chi è in
difficoltà.
Una rivoluzione, teologica e pastorale,
per non dire ecclesiale, se non fosse che a pronunciare queste parole e a
incarnarle con gesti e segni, sia proprio lui, Francesco, il vescovo di Roma
che si è messo in testa di riformare la Chiesa e abbracciare il mondo immerso
in una globalizzazione che non risparmia più nessuno.
Un’esortazione, la Evangelii Gaudium, che è più di un consiglio dottrinale rivolto ai
fedeli cattolici. Nonostante i “resistenti” a Francesco si ostinino a dire che
un’esortazione non ha il valore di un’enciclica, l’Evangelii Gaudium ha il fascino di un vero e proprio programma di pontificato
messo per iscritto.
L’Evangelii
Gaudium è un po’ lunga. Ma si legge volentieri, e affascina il lettore.
Francesco mette subito in chiaro i confini ecclesiali dell’esortazione: la riforma della Chiesa in uscita
missionaria, le tentazioni degli operatori pastorali, la Chiesa intesa come la
totalità del Popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua
preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le
motivazioni spirituali per l’impegno missionario. E basta scorrere le pagine
per gustarne i consigli pastorali, le sottolineature teologiche, talvolta i
rimbrotti amorevoli ma concreti riservati agli uomini di Chiesa. Però, e questo
è il punto fondamentale, in questa esortazione è facile vedere il tratto
evangelico dell’uomo che ha scelto di chiamarsi Francesco.
C’è tutto un anno di pontificato racchiuso
nelle circa duecento paginette. Si respira l’eco della mano tesa ai pescatori e
agli isolani di Lampedusa, si trova la rabbia per dignità del lavoro rivolta
agli operai di Cagliari, si vede il suo inginocchiarsi a lavare i piedi di una
donna carcerata e musulmana, si coglie il sorriso povero di un uomo e pastore
del Sud e dei sud del mondo, si immagina perfino don Corrado, l’elemosiniere
del papa, che elargisce euro ai poveri che popolano la sera il colonnato di San
Pietro.
C’è la mano che dà, e il sorriso che dona sollievo
e misericordia. Rivolto a tutti, credenti, anche ai tiepidi o non praticanti. Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza
Pasqua, scrive il papa. Vero. «Però riconosco – scrive il papa – che la gioia
non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a
volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno
spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente
amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla tristezza per
le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere
che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia,
anche in mezzo alle peggiori angustie».
Un’esortazione
bellissima. Un salmo sociale da leggere, gustare, far girare nelle parrocchie, nelle
scuole, tra le famiglie. La Chiesa di Francesco è una Chiesa “in uscita”, è la comunità di discepoli missionari che
prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e
festeggiano. La Chiesa in uscita fa il primo passo, prende l’iniziativa senza
paura, va incontro, cerca i lontani e arriva agli incroci delle strade per
invitare gli esclusi. «Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia,
frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza
diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la
Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore
si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per
lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: “Sarete beati se farete questo” (Gv 13,17)».
Francesco insiste molto sulla comunità
evangelizzatrice, una comunità dal volto sorridente e accogliente, che celebra
e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione
gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far
progredire il bene.
Sebbene l’esortazione si soffermi molto sulla
centralità delle parrocchie, c’è perfino un capitolo che dà consigli su come un
pastore dovrebbe preparare e dire l’omelia, è sullo stile della comunità accogliente
che Francesco pone la sua attenzione. Uno stile “in uscita”, che sappia
impregnarsi più dell’odore delle pecore che degli spifferi dei sacri palazzi o
delle sagrestie paesane, accompagnato sempre da una docilità d’animo e una sobrietà
dello spirito che rende il cristiano forte, lieto, annunciatore di buona
speranza.
Evangelizzatori con Spirito: li chiama così
Francesco. Evangelizzatori della “buona battaglia”, che pregano e lavorano. «Dal
punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza
un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e
pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali
e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia
penetrazione, perché mutilano il Vangelo».
Nella vigna di Francesco c’è spazio per la
misericordia e la tenerezza, ma si coltiva la sobrietà e la carità, la fortezza
e il sorriso. È la nuova rivoluzione di questo papa venuto da lontano. Nulla è
come prima nella Chiesa di Francesco. E se qualche pastore non se ne è ancora
accorto, è meglio che migliori la sua attenzione ecclesiale e pastorale: siamo
solo all’inizio.
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