Deve
essere successo qualcosa di eclatante in America se il discorso di Barack Obama
sullo stato dell’Unione si è trasformato in una ventata di ottimismo e,
nello stesso tempo, in una denuncia nel combattere le disuguaglianze economiche
e sociali. I conti, anche negli Usa, cominciano a segnare rosso. È vero, come
elenca Obama, che l’America ha la
più alta percentuale di neolaureati da più di tre decenni, otto milioni di
posti lavoro creati in quattro anni, la disoccupazione più bassa da cinque
anni. Rispetto alla stanca e malata Europa, un abisso. Però c’è dell’altro. «I
profitti delle imprese non sono mai stati così alti, eppure molti salari sono
fermi. La mobilità sociale non è più quella di una volta. Nel mezzo di una
crescita troppi lavoratori fanno fatica a tirare avanti».
Già, esattamente come la “sorella” Europa e
gran parte del resto del mondo. Occorre, dunque, smuovere le acque stagnanti di
una congiuntura economica che si è fidata un po’ troppo del “fai da te” globalizzato
e di un capitalismo speculativo e finanziario che ha fatto più danni che altro,
oltre che rimpinguarsi le proprie tasche con dollari, euro, yen e sterline. E
che non ha capito che la crescita e lo sviluppo del mondo oggi, ancor più di prima,
hanno bisogno del sostegno delle avanguardie sociali ed economiche che formano
il terzo e quarto mondo, e di una forma di partecipazione “dal basso” che
ridisegna un nuovo patto economico tra proprietà e lavoro.
Altrimenti le città scoppieranno e i paesi
diverranno sempre più poveri. Come sta accadendo, infatti.
La ricetta di Obama è semplice, per adesso.
Si comincia dal salario minimo legale, la grande svolta, alzando da 7,25 a
10,10 dollari l’ora il minimo salariale almeno per i dipendenti delle
amministrazioni pubbliche. Un nuovo “piccolo e grande” Piano Marshall che torna
a far girare nel lessico politico mondiale parole ormai dimenticate nel ripostiglio
dei sogni perduti, come diseguaglianza, redistribuzione del reddito, patto sociale,
crescita e sviluppo per tutti.
Non è una cosa da poco, e soprattutto non è
una riforma che tocca la lontana America. In realtà, i suoi effetti, anche nel
lungo periodo, toccheranno la nostra Europa, avvitata da un po’ di tempo in una
discussione (fino ad adesso sterile) tra coloro che sostengono solo la regola
imprescindibile dei bilanci in pareggio e altri invece che invocano una
politica macro economica incentrata su ricerca e sviluppo.
Il salario minimo garantito non è solo una
risposta, temporale, alla povertà in aumento, anche in America. Può diventare,
invece, una proposta economica e politico-culturale fondata sull’idea che le
sorti del mondo non possano essere affidate sempre e solo ai soliti noti:
banche, multinazionali, lobbies economiche e finanziarie. E non c’è bisogno nemmeno
di citare il guru storico che ha incarnato questa idea, quel John Maynard Keynes
troppo presto dimenticato dai soloni del capitalismo senza regole, per capire
la novità della scelta di Obama.
Da oggi, semplicemente, si ricomincia a parlare
di democrazia e uguaglianza economica.
Era ora.
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