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venerdì 17 gennaio 2014

E' il tempo della dolcezza. Intervista con padre Antonio Spadaro


anticipazione di Segno nel mondo n. 2/2014

La sua vita è cambiata da quando, lo scorso settembre, ha pubblicato la prima intervista a papa Francesco sulla rivista che dirige, La Civiltà cattolica (oggi in libreria in una versione ampliata e commentata per Rizzoli col titolo La mia porta è sempre aperta). Insediatosi come direttore dall’ottobre del 2011, Antonio Spadaro, 47 anni, è esperto di CyberTeologia e appassionato di scrittura creativa e comunicazioni sociali. Con lui, la quiete di Villa Malta, la bellissima sede della rivista dei gesuiti immersa nel cuore di Roma, è diventata una sorta di avamposto della “buona battaglia”: convegni, seminari, presentazioni di libri, corsi di formazione alla politica per giovani. I gesuiti de La Civiltà cattolica, oltre lo scrittoio, si danno da fare.
Con Segno accetta di parlare di Francesco e della Chiesa che verrà.

Padre Spadaro, nel colloquio che il Santo Padre ha concesso all’Unione superiori generali degli Istituti religiosi maschili lo scorso fine novembre e che lei ha raccontato nel primo quaderno di gennaio de La Civiltà cattolica, papa Francesco rivolge un invito ai religiosi: «Svegliate il mondo! La Chiesa deve essere attrattiva». Cosa intendeva dire?
La Chiesa, per papa Francesco, non è semplicemente chiamata a fare proseliti, a conquistare le persone con una sorta di seduzione, ma deve essere attrattiva con la sua testimonianza. La Chiesa è attrattiva quando vive il vangelo, quando il popolo di Dio e i cristiani propongono un modello di vita che risulta essere bello, buono e vero. Nel momento in cui le persone vivono autenticamente una vita bella e buona allora diventano per forza attrattive, perché il vangelo si manifesta non in parole ma in opere. Questa affermazione di papa Francesco chiarisce qual è la posizione della Chiesa che è, appunto, missionaria. Una delle cose che più rappresenta questo pontificato è l’approccio radicale missionario alla vita cristiana: la Chiesa è chiamata ad annunciare il vangelo a chiunque.

«La profezia del Regno non è negoziabile», continua Francesco…
Il ruolo profetico è fondamentale per il religioso. Francesco, parlando ai religiosi, dice che non è la radicalità evangelica a essere la specificità propria del religioso, ma è il seguire il Signore in una forma particolare, che sono i voti, e che manifesta in maniera chiara la profezia del Regno. I voti di povertà, castità e obbedienza, sono dei valori che tutti cristiani sono chiamati a vivere nella loro condizione umana ma il religioso, in modo particolare, manifesta la profezia del Regno che verrà vivendo una vita profondamente svuotata di se stesso per conformarla a Cristo. Quello che radicalmente importa è essere annunciatori del Regno, profeti del regno di Dio.

Altro consiglio: il vangelo va annunciato con dolcezza e non con il bastone.
È un’espressione che Francesco ha usato con noi gesuiti ma che in realtà fa parte del suo approccio generale alla testimonianza: il vangelo è un messaggio di amore e dolcezza. La parola “dolcezza” è un termine molto caro a Francesco: l’ha usata varie volte, per esempio quando ha definito Pietro Favre, nella mia intervista pubblicata lo scorso settembre, “dolce dolce dolce”. Il concetto di “dolcezza” andrebbe indagato meglio nella comprensione di Bergoglio: la dolcezza non è un termine zuccheroso.
Ad Assisi Francesco ha infatti ricordato che a volte i cristiani sembrano gente di pasticceria. La
dolcezza di cui parla Francesco non è quella del pasticcino, ma è la dolcezza solida del vangelo che accoglie chiunque con un abbraccio caldo e con uno spirito aperto. Un atteggiamento solido, forte, di apertura di misericordia, che si radica poi nella solidità di Dio.

Alcune sfide del pontificato di Bergoglio destano una forte attenzione nell’opinione pubblica. Cominciamo dalla prima: la riforma della curia.
La riforma della curia è importante ma non è la cosa che gli sta più a cuore. La riforma delle strutture per lui è qualcosa che matura lentamente e spontaneamente dentro un processo di conversione. Le riforme strutturali richiedono tempo e prudenza, perché sono frutto di uno stile di vita che deve crescere e maturare. Il papa non ha un progetto teorico da mettere in pratica a tappe definite e precise. Il papa è aperto all’esperienza, si muove, poi riflette, prega e si confronta. E sulla base di questa riflessione continua a procedere. La riforma della curia è una riforma di tipo spirituale. In fondo, come disse Benedetto XVI, le strutture della Chiesa come la curia sono un strumento a servizio di un corpo vivo. Ecco perché la riforma della curia è una riforma continua nel senso che le cose da cambiare non saranno decise per il puro gusto di cambiare, ma per adeguare meglio le strutture a un corpo vivente che è la Chiesa.

Un’altra sfida importante: come annunciare il vangelo.
La sfida di annunciare il vangelo è la sfida fondamentale di Bergoglio. Per lui la Chiesa è missionaria. Questo annuncio del vangelo non è un messaggio astratto, fatto solo di principi teorici, ma si incarna nella vita delle persone. Ha a che fare con l’inserimento nella realtà del mondo. Papa Francesco, come sappiamo, è stato a lungo pastore nella sua diocesi, ha vissuto continuamente con la sua gente e da lì ha imparato che il messaggio del vangelo si comunica quando il missionario è inserito e vive la realtà delle persone alle quali annuncia il vangelo stesso. L’annuncio si inserisce in un contesto reale, territoriale. Questo contesto non è secondario: vanno accolte le sfide che esso pone. È una questione delicata: Benedetto XVI, durante il discorso in cui annunciava la sua rinuncia al pontificato, parlò di come oggi alla fede si pongono sfide accelerate e forti. L’annuncio del vangelo non chiude gli occhi davanti a queste sfide ma li apre sull’umanità concreta che sta vivendo.

Aprire gli occhi sull’umanità in cammino. Sembra proprio questo il senso del questionario inviato ai fedeli per preparare al meglio il prossimo Sinodo straordinario delle famiglie del 2014.
Il dialogo per papa Francesco è una cosa estremamente pratica. Non è solamente un confronto di idee astratte. Per lui conta molto il fare: si dialoga facendo le cose insieme. È importante, quindi, ribadire i valori fondamentali, entrando in un dibattito sociale costruttivo con le forze attive. Il questionario è interessante perché lo stile di papa Francesco apre le porte. Anche nell’esortazione Evangelii Gaudium ci sono questioni forti, ma non ci sono solamente risposte definite. Francesco non dà soluzioni immediate, ma pone sfide aperte, le apre al dialogo. Ciò è funzionale a un discernimento da parte del popolo di Dio. Lo scopo è quello di aprire discorsi, aprire gli occhi davanti alle sfide senza irrigidimenti. Penso che il vangelo non si annunci solo ribadendo dei principi, ma accostando le persone nelle loro esperienze e nelle loro domande sulla vita. È insomma ciò che è accaduto ai discepoli di Emmaus. Molti rimangono turbati. Il fatto che il papa usi uno stile dialogico e metta in discussione gli argomenti scandalizza qualcuno che ha bisogno di certezze chiare e definitive. Che però interessano poco l’umanità, che invece è molto ricca e complessa. Francesco non chiude porte ma apre finestre.

Quanto le Chiese sono pronte a raccogliere le sfide del nuovo pontificato?
Le sfide di Francesco sono le sfide del vangelo, non le sue personali. Quindi la domanda potrebbe essere capovolta: quanto la Chiesa è pronta ad accogliere il vangelo? È assolutamente pronta e mai pronta del tutto, perché in fondo essere pronti è frutto di una grazia, un dono del Signore. Certamente Francesco è un uomo di fede che vive immerso in Dio e sa che la Chiesa non è sua ma di Dio. Il suo compito è di animarla affinché cerchi il Signore e si conformi al Signore. È vero poi che si
confrontano alcune immagini di Chiesa. Ci sono persone che vedono la Chiesa come un faro nella notte fermo in una posizione stabile che illumina ciò che gli sta accanto, mentre altre preferiscono l’immagine della fiaccola che si muove in direzione degli uomini. Quindi, raccogliendo anche tutti i loro percorsi di vita, a volte accidentati, per portare la luce del vangelo dove gli uomini sono. Credo che la sfida di oggi sia questa: di non rinunciare mai alla sua funzione di faro e nello stesso tempo di declinare la sua presenza in movimento con l’umanità.

Cosa ha pensato quando è stato eletto Francesco?
Sono rimasto abbastanza sconvolto. L’idea di un papa gesuita per me era inimmaginabile. Quando ho sentito il suo nome sono rimasto sinceramente sconvolto e ho cercato di capire cosa questo significasse per la Chiesa, per il mondo e per noi gesuiti.

Cosa si aspetta da Francesco?
Sono aperto alle sorprese. Non mi aspetto nulla: vivrò ciò che il Signore vorrà far vivere alla sua Chiesa. È un tempo particolare per la Chiesa. Farsi venire delle aspettative significa forse rischiare di non sintonizzare l’orecchio con quello che sta accadendo. Ognuno di noi ha delle aspettative, però se sono troppe si rischia di proiettare l’immagine della Chiesa e della realtà che noi vogliamo sulla realtà e sulla Chiesa stessa. E questo non va bene.
Preferisco vivere il presente cercando di discernere la volontà di Dio nel momento presente.

Chi è Francesco?
È un peccatore al quale il Signore ha guardato. È una definizione che proprio lui ha dato nella mia intervista. È una persona profondamente immersa in Dio, che vive la sua spiritualità in maniera costante e ordinaria, perfettamente consapevole dei suoi limiti e della sua debolezza ma nello stesso tempo molto grato al Signore per ciò che gli dà da vivere. È anche una persona che vive la sua vita stessa come un mistero: a volte accoglie con sorpresa ciò che gli è dato da vivere, essendo consapevole dell’autorità che gli è stata e declinandola non in termini di distanza ma in termini di vicinanza.
Francesco, dall’alto del suo ministero petrino, avvicina la gente allo sguardo misericordioso e dolce di Dio. 

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