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martedì 9 ottobre 2012

Avrei voluto essere lì, quella sera dell'11 ottobre...


Avrei voluto essere lì quella sera dell’11 ottobre, in piazza San Pietro. Forse avrei avuto, oggi, qualche capello bianco in più, ma l’immagine e la cronaca di quei giorni ancora mi rincorrono, come se non volessero mai perdersi. La mia generazione appena post-conciliare ha letto molto del Concilio Vaticano II, ha ascoltato i racconti di chi c’era stato e di chi sognava una Chiesa nuova e piena di speranza. E ha imparato a sognare.
Avrei voluto essere lì quella sera. E vedere i vescovi di tutto il mondo con i loro abiti liturgici vestiti a festa mescolarsi ai fedeli di altrettanti mondi, strade, viottoli e certamente anche sagrestie. Una folla di umanità che traghettava la Chiesa sulle sponde del dialogo e dell’amicizia con il mondo. Per i nati dopo l’11 ottobre del 1962 tutto è stato diverso. Non sappiamo forse cogliere appieno il fascino pieno di mistero del canto gregoriano o di un latino che comunque era memoria e tradizione, e sicuramente abbiamo un’idea del sacro lontana dalla sua purezza che invita, ancora oggi, all’intimità con Dio. Ma, se gran parte di quella generazione, oggi, crede, tra incertezze e dubbi, è perché la Chiesa universale ha avuto il coraggio di condividere un Concilio per riformare se stessa. E perché, lì, in quel dato preciso momento storico, il mondo ha conosciuto Giovanni XXIII, il papa della porta accanto, dei sogni sulla profezia e della paternità e fraternità. E la Parola si è fatta Storia.
Se la fiamma della fede non si è ancora spenta in questo tempo barbarico che stiamo attraversando, è per questo desiderio mai sopito nelle coscienze di poter vivere, un giorno, un altro 11 ottobre. Il giorno in cui la Chiesa si spoglierà dei suoi abiti pontificali indossando il saio della sobrietà, il giorno in cui la bellezza e il sorriso si scateneranno contro i mercanti del tempio, l’ora in cui la Chiesa sarà di nuovo compagna e amica di un uomo alla ricerca del suo Dio.
Già oggi la Chiesa è, in larga parte di essa, speranza e profezia. Non siamo così sciocchi dal non pensarlo. Ma noi continuiamo a sognare. A desiderarla migliore. E a innaffiare il fiore rosso della speranza per chi verrà dopo di noi, che godrà di un altro 11 ottobre. E quel giorno, solo quel giorno, quando le nubi si sveleranno in una nuova aurora, anche noi, pietre di scarto di un tempo difficile e disorientato, troveremo benedizione nella pace dei giusti.

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