«…Un’ultima implorazione, Signore. È per i poveri. Per i malati,
i vecchi, gli esclusi. Per chi ha fame e non ha pane. Ma anche per chi ha pane
e non ha fame. Per chi si vede sorpassare da tutti. Per gli sfrattati, gli alcolizzati,
le prostitute.
Per chi è solo. Per chi è stanco. Per chi ha ammainato le vele.
Per chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore. Libera i
credenti, o Signore, dal pensare che basti un gesto di carità a sanare tante
sofferenze. Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane dal credere
che sia inutile spartire il pane e la tenda, e che basterà cambiare le
strutture perché i poveri non ci siano più. Essi li avremo sempre con noi. Sono
il segno della nostra povertà di viandanti. Sono il simbolo delle nostre
delusioni. Sono il coagulo delle nostre stanchezze. Sono il brandello delle
nostre disperazioni. Li avremo sempre con noi, anzi, dentro di noi. Concedi, o
Signore, a questo popolo che cammina l’onore di scorgere chi si è fermato lungo
la strada e di essere pronto a dargli una mano per rimetterlo in viaggio.
Adesso, basta, o Signore: non ti voglio stancare, è già scesa la
notte. Ma laggiù, sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una
lampara».
Oggi, 20 aprile duemiladodici, ci piace ricordare don Tonino
Bello così, nel diciannovesimo anniversario della sua morte. Il testo è tratto
da Preghiera sul molo, meglio noto
come la La Lampara. Don Tonino è solo
sul porto di Tricase, e saluta la sua gente in questo modo prima di andare a
Molfetta, dove è appena stato nominato vescovo. Un testo struggente e bellissimo,
frutto di un uomo e prete innamorato della Parola e profondamente immerso nel
solco della Chiesa riformata dal Concilio Vaticano II.
Sono passati tanti anni, ma di don Tonino non abbiamo perso né
la memoria, né il suo coraggio e la sua profezia. C’è un processo di
beatificazione in corso, ma ci sono soprattutto le tante testimonianze di chi
lo ha conosciuto, e di chi si è lasciato convincere dalla sua profonda umanità.
Con la povera gente, sempre, con gli sfrattati, i disoccupati, gli alcolizzati,
i malati, i carcerati, gli immigrati. Un uomo e un vescovo che ha saputo
fermare le bombe a Sarajevo, nel dicembre del 1992, con altri cinquecento
“pazzi” e ostinati della pace.
Nell’Italia di oggi, e nella Chiesa di oggi, don Tonino avrebbe
avuto molto da dire. Avrebbe accarezzato, accompagnato, aiutato. Qualche volta
alzato la voce per farsi sentire.
Caro don Tonino, ci manchi molto. Ci manca la tua profezia, il
tuo modo di spiegare e raccontare le parole sacre, e il fatto che non hai mai
avuto paura del dialogo con l’Altro, il diverso da noi.
Ti sentiamo vicino. Perché mai come oggi abbiamo bisogno di
santi ribelli che ci aprano gli occhi sulla nostra ipocrisia facendo nascere in
noi la sete di una giustizia più vera.
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