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giovedì 13 novembre 2014

Né pace e giustizia, se non guardiamo ai poveri

Papa Francesco non le manda a dire, nemmeno ai leader politici del G20. Facendo perno su una solida tradizione diplomatica vaticana (celebri le posizioni di San Giovanni Paolo II in tema di politica economica e sviluppo del pianeta, e anche le parole e le encicliche del beato Paolo VI), ha inviato una lettera a Tony Abbott, primo ministro dell’Australia, in vista del vertice dei Capi di Stato e di Governo dei 20 Paesi con le maggiori economie (G20), che si svolge a Brisbane nei giorni 15 e 16 novembre. Un papa molto deciso a confrontarsi con le grandi superpotenze e con le economie forti che determineranno, in un presente-futuro, come il pianeta uscirà fuori dal tunnel della recessione economica globale.
C’è tutto papa Francesco in questa lettera. I suoi incontri pastorali, e il suo anno e mezzo di pontificato vissuto accanto alle periferie esistenziali e lungo la via di una Chiesa in uscita che non ha paura di confrontarsi con il mondo “fuori” e lontano. Ci sono i lavoratori di Cagliari («dal lavoro preparatorio è emerso un punto cruciale, vale a dire, l’imperativo di creare opportunità d’impiego dignitose, stabili e a favore di tutti. Questo presuppone e richiede un miglioramento nella qualità della spesa pubblica e degli investimenti, la promozione di investimenti privati, un equo e adeguato sistema di tassazione, uno sforzo concertato per combattere l’evasione fiscale e una regolamentazione del settore finanziario, che garantisca onestà, sicurezza e trasparenza»); c’è l’esortazione Evangelii Gaudium nelle sue pagine dedicate agli squilibri di un sistema geo economico mondiale che lascia da parte le povertà e arricchisce, ormai, solo pochi («nel mondo, incluso all’interno degli stessi Paesi appartenenti al G20, ci sono troppe donne e uomini che soffrono a causa di grave malnutrizione, per la crescita del numero dei disoccupati, per la percentuale estremamente alta di giovani senza lavoro e per l’aumento dell’esclusione sociale che può portare a favorire l’attività criminale e perfino il reclutamento di terroristi. Oltre a ciò, si riscontra una costante aggressione all’ambiente naturale, risultato di uno sfrenato consumismo e tutto questo produrrà serie conseguenze per l’economia mondiale»; c’è l’eco di una riflessione sull’ambiente che presto troverà forma in un enciclica appositamente dedicata («formulo queste speranze in vista dell’Agenda post-2015, che sarà approvata dalla corrente sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che dovrebbe includere gli argomenti vitali del lavoro dignitoso per tutti e del cambiamento climatico».
Ma c’è di più, per papa Francesco. C’è da stimolare l’opinione pubblica a rendersi conto che una giustizia redistributiva dell’economia globale è possibile. E c’è da uscire da una recessione economica che induce gran parte del pianeta a sentirsi tutti precari. E poi il suo accorato appello contro le guerre. E chi fa il commercio di armi. Il mondo intero si attende dal G20 un accordo sempre più ampio che possa portare a un definitivo arresto nel Medio Oriente dell’ingiusta aggressione rivolta contro differenti gruppi, religiosi ed etnici, incluse le minoranze. «Dovrebbe inoltre condurre a eliminare le cause profonde del terrorismo, che ha raggiunto proporzioni finora inimmaginabili; tali cause includono la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione. È diventato sempre più evidente che la soluzione a questo grave problema non può essere esclusivamente di natura militare, ma che si deve anche concentrare su coloro che in un modo o nell’altro incoraggiano gruppi terroristici con l’appoggio politico, il commercio illegale di petrolio o la fornitura di armi e tecnologia. Vi è inoltre la necessità di uno sforzo educativo e di una consapevolezza più chiara che la religione non può essere sfruttata come via per giustificare la violenza».
Una lettera, questa di papa Francesco, che va anche oltre lo sforzo diplomatico. Al cuore del problema ci sono le persone, sole nelle loro insicurezze esistenziali o prese dai lacci della recessione e della precarietà. La voce del papa è fin troppo chiara su questo versante: una mentalità nella quale le persone sono scartate non raggiungerà mai la pace e la giustizia.
Prima i poveri e gli emarginati, poi il resto. L’uomo prima di una qualsiasi politica economica. Quasi una voce isolata, quella di Francesco. Mentre nel mondo le grandi multinazionali globalizzate ormai detengono il potere, e contano di più delle decisioni dei governi centrali.

Sarebbe ora di ascoltarla, questa voce che sa di profezia.

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