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martedì 7 febbraio 2012

La neve e la decrescita serena


I supermercati presi d’assalto come se fossimo alla vigilia di un conflitto mondiale. Mancano pane, pasta e farina. La probabilità che un giorno o l’altro i russi ci taglino il gas, e addio riscaldamento. Come quel 28 settembre 2003, quando un guasto a un centrale elettrica svizzera mandò l’Italia al buio. Le grandi città che vanno in tilt perché nevica. Le gomme termiche che nessuno usa. I comuni del Nord Italia che vivono almeno per sei mesi l’anno con neve e freddo sotto gli zero centigradi. E non succede mai niente. Le caldaie ghiacciate. L’energia elettrica mancante. I servizi comunali che non esistono, almeno a Roma. E il solito balletto delle competenze e dello scaricabarile. Ma è colpa di chi? Le grandi megalopoli in preda alla disorganizzazione totale nell’era della comunicazione e della tecnologia. Dove stavano Anas, vigili del fuoco, polizia, carabinieri ed esercito quel famigerato 3 febbraio? E le previsioni meteo scaricabili dai pc?
Chissà il famoso mito del progresso dove sia andato a finire. Siamo sicuri che viviamo tutti nel benessere? Oppure, il progresso, è un’illusione che si scioglie alla prima nevicata di stagione? Siamo così sicuri che le nostre città siano realmente infallibili? Che un giorno o l’altro non moriremo surgelati o surriscaldati o naufragati o inzuppati nelle piogge torrenziali?
Serge Latouche, filosofo ed economista francese, parla senza mezzi termini di “decrescita serena”. Sarà forse utopico. Ma a noi piace. In alternativa al modello neocapitalista e al mito del prodotto interno lordo, preferiamo una società più povera dove sottomettere le decisioni politiche ed economiche alla dura legge della termodinamica, secondo la quale nulla si può fare senza che l’energia si degradi.
La teoria di Latouche si traduce in otto “R”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Basteranno per arginare la deriva di questa società che consuma, spreca, e non produce più beni di prima necessità?
Nel momento più critico della pratica del neocapitalismo selvaggio basato sulla crescita individualista che se ne frega del bene comune, ripensare la decrescita serena non come un “no” allo sviluppo mirato, ma come a un “sì” a una a-crescita consapevole è la sola e unica via possibile.
Per tutti. Per i paesi occidentali, aggrappati come delle piante rampicanti al muro di una teoria dello sviluppo che non ammette sconti. Per i paesi più poveri, semplicemente perché così forse si salveranno.
Decrescita serena. Traduzione per l’oggi: tornare alle “cose” di una volta. Con l’aiuto del progresso, s’intende. Tornare alla terra, e alle angustie del cielo. Ma sapendoli rispettare questo cielo e questo creato. E ricominciare da lì. Con l’iphone in una mano e una pala per liberare la neve nell’altra.

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