anticipazione di Segno nel mondo n. 2/2014
La sua vita è cambiata da
quando, lo scorso settembre, ha pubblicato la prima intervista a papa Francesco
sulla rivista che dirige, La Civiltà cattolica (oggi in libreria in una
versione ampliata e commentata per Rizzoli col titolo La mia porta è sempre
aperta). Insediatosi come direttore dall’ottobre del 2011, Antonio Spadaro,
47 anni, è esperto di CyberTeologia e appassionato di scrittura creativa e
comunicazioni sociali. Con lui, la quiete di Villa Malta, la bellissima sede
della rivista dei gesuiti immersa nel cuore di Roma, è diventata una sorta di
avamposto della “buona battaglia”: convegni, seminari, presentazioni di libri,
corsi di formazione alla politica per giovani. I gesuiti de La Civiltà
cattolica, oltre lo scrittoio, si danno da fare.
Con Segno accetta di
parlare di Francesco e della Chiesa che verrà.
Padre Spadaro, nel colloquio
che il Santo Padre ha concesso all’Unione superiori generali degli Istituti
religiosi maschili lo scorso fine novembre e che lei ha raccontato nel primo
quaderno di gennaio de La Civiltà cattolica, papa Francesco rivolge un
invito ai religiosi: «Svegliate il mondo! La Chiesa deve essere attrattiva».
Cosa intendeva dire?
La Chiesa, per papa
Francesco, non è semplicemente chiamata a fare proseliti, a conquistare le persone con una sorta di
seduzione, ma deve essere
attrattiva con la
sua testimonianza. La Chiesa è
attrattiva quando
vive il vangelo, quando il popolo di Dio e i cristiani propongono un modello di vita che risulta essere bello, buono e
vero. Nel momento in cui le persone vivono autenticamente una vita bella e buona allora diventano per
forza attrattive, perché il vangelo si manifesta non in parole ma in opere. Questa affermazione di papa
Francesco chiarisce qual è la posizione della Chiesa che è, appunto, missionaria. Una delle cose che
più rappresenta questo pontificato è l’approccio radicale missionario alla vita cristiana: la Chiesa è
chiamata ad annunciare il vangelo a chiunque.
«La profezia del Regno non è negoziabile»,
continua Francesco…
Il ruolo profetico è fondamentale
per il religioso. Francesco, parlando ai religiosi, dice che non è la radicalità
evangelica a essere la specificità propria del religioso, ma è il seguire il
Signore in una forma particolare, che sono i voti, e che manifesta in maniera
chiara la profezia del Regno. I voti di povertà, castità e obbedienza, sono dei
valori che tutti cristiani sono chiamati a vivere nella loro condizione umana
ma il religioso, in modo particolare, manifesta la profezia del Regno che verrà
vivendo una vita profondamente svuotata di se stesso per conformarla a Cristo.
Quello che radicalmente importa è essere annunciatori del Regno, profeti del
regno di Dio.
Altro consiglio: il vangelo va annunciato
con dolcezza e non con il bastone.
È un’espressione che Francesco ha
usato con noi gesuiti ma che in realtà fa parte del suo approccio generale alla
testimonianza: il vangelo è un messaggio di amore e dolcezza. La parola
“dolcezza” è un termine molto caro a Francesco: l’ha usata varie volte, per
esempio quando ha definito Pietro Favre, nella mia intervista pubblicata lo
scorso settembre, “dolce dolce dolce”. Il concetto di “dolcezza” andrebbe
indagato meglio nella comprensione di Bergoglio: la dolcezza non è un termine
zuccheroso.
Ad Assisi Francesco ha infatti
ricordato che a volte i cristiani sembrano gente di pasticceria. La
dolcezza di cui parla Francesco
non è quella del pasticcino, ma è la dolcezza solida del vangelo che accoglie
chiunque con un abbraccio caldo e con uno spirito aperto. Un atteggiamento
solido, forte, di apertura di misericordia, che si radica poi nella solidità di
Dio.
Alcune sfide del pontificato di Bergoglio
destano una forte attenzione nell’opinione pubblica. Cominciamo dalla prima: la
riforma della curia.
La riforma della curia è
importante ma non è la cosa che gli sta più a cuore. La riforma delle strutture
per lui è qualcosa che matura lentamente e spontaneamente dentro un processo di
conversione. Le riforme strutturali richiedono tempo e prudenza, perché sono
frutto di uno stile di vita che deve crescere e maturare. Il papa non ha un
progetto teorico da mettere in pratica a tappe definite e precise. Il papa è
aperto all’esperienza, si muove, poi riflette, prega e si confronta. E sulla
base di questa riflessione continua a procedere. La riforma della curia è una
riforma di tipo spirituale. In fondo, come disse Benedetto XVI, le strutture
della Chiesa come la curia sono un strumento a servizio di un corpo vivo. Ecco
perché la riforma della curia è una riforma continua nel senso che le
cose da cambiare non saranno decise per il puro gusto di cambiare, ma per
adeguare meglio le strutture a un corpo vivente che è la Chiesa.
Un’altra sfida importante: come annunciare
il vangelo.
La sfida di annunciare il vangelo
è la sfida fondamentale di Bergoglio. Per lui la Chiesa è missionaria. Questo
annuncio del vangelo non è un messaggio astratto, fatto solo di principi
teorici, ma si incarna nella vita delle persone. Ha a che fare con
l’inserimento nella realtà del mondo. Papa Francesco, come sappiamo, è stato a
lungo pastore nella sua diocesi, ha vissuto continuamente con la sua gente e da
lì ha imparato che il messaggio del vangelo si comunica quando il missionario è
inserito e vive la realtà delle persone alle quali annuncia il vangelo stesso. L’annuncio
si inserisce in un contesto reale, territoriale. Questo contesto non è
secondario: vanno accolte le sfide che esso pone. È una questione delicata:
Benedetto XVI, durante il discorso in cui annunciava la sua rinuncia al pontificato,
parlò di come oggi alla fede si pongono sfide accelerate e forti. L’annuncio
del vangelo non chiude gli occhi davanti a queste sfide ma li apre sull’umanità
concreta che sta vivendo.
Aprire gli occhi sull’umanità in cammino.
Sembra proprio questo il senso del questionario inviato ai fedeli per preparare
al meglio il prossimo Sinodo straordinario delle famiglie del 2014.
Il dialogo per papa Francesco è
una cosa estremamente pratica. Non è solamente un confronto di idee astratte.
Per lui conta molto il fare: si dialoga facendo le cose insieme. È
importante, quindi, ribadire i valori fondamentali, entrando in un dibattito
sociale costruttivo con le forze attive. Il questionario è interessante perché
lo stile di papa Francesco apre le porte. Anche nell’esortazione Evangelii
Gaudium ci sono questioni forti, ma non ci sono solamente risposte
definite. Francesco non dà soluzioni immediate, ma pone sfide aperte, le apre
al dialogo. Ciò è funzionale a un discernimento da parte del popolo di Dio. Lo
scopo è quello di aprire discorsi, aprire gli occhi davanti alle sfide senza irrigidimenti.
Penso che il vangelo non si annunci solo ribadendo dei principi, ma accostando
le persone nelle loro esperienze e nelle loro domande sulla vita. È insomma ciò
che è accaduto ai discepoli di Emmaus. Molti rimangono turbati. Il fatto che il
papa usi uno stile dialogico e metta in discussione gli argomenti scandalizza
qualcuno che ha bisogno di certezze chiare e definitive. Che però interessano
poco l’umanità, che invece è molto ricca e complessa. Francesco non chiude porte
ma apre finestre.
Quanto le Chiese sono pronte a raccogliere
le sfide del nuovo pontificato?
Le sfide di Francesco sono le
sfide del vangelo, non le sue personali. Quindi la domanda potrebbe essere capovolta:
quanto la Chiesa è pronta ad accogliere il vangelo? È assolutamente pronta e
mai pronta del tutto, perché in fondo essere pronti è frutto di una grazia, un
dono del Signore. Certamente Francesco è un uomo di fede che vive immerso in
Dio e sa che la Chiesa non è sua ma di Dio. Il suo compito è di animarla
affinché cerchi il Signore e si conformi al Signore. È vero poi che si
confrontano alcune immagini di
Chiesa. Ci sono persone che vedono la Chiesa come un faro nella notte fermo in
una posizione stabile che illumina ciò che gli sta accanto, mentre altre
preferiscono l’immagine della fiaccola che si muove in direzione degli uomini.
Quindi, raccogliendo anche tutti i loro percorsi di vita, a volte accidentati,
per portare la luce del vangelo dove gli uomini sono. Credo che la sfida di
oggi sia questa: di non rinunciare mai alla sua funzione di faro e nello stesso
tempo di declinare la sua presenza in movimento con l’umanità.
Cosa ha pensato quando è stato eletto
Francesco?
Sono rimasto abbastanza
sconvolto. L’idea di un papa gesuita per me era inimmaginabile. Quando ho
sentito il suo nome sono rimasto sinceramente sconvolto e ho cercato di capire
cosa questo significasse per la Chiesa, per il mondo e per noi gesuiti.
Cosa si aspetta da Francesco?
Sono aperto alle sorprese. Non mi
aspetto nulla: vivrò ciò che il Signore vorrà far vivere alla sua Chiesa. È un
tempo particolare per la Chiesa. Farsi venire delle aspettative significa forse
rischiare di non sintonizzare l’orecchio con quello che sta accadendo. Ognuno
di noi ha delle aspettative, però se sono troppe si rischia di proiettare
l’immagine della Chiesa e della realtà che noi vogliamo sulla realtà e sulla
Chiesa stessa. E questo non va bene.
Preferisco vivere il presente
cercando di discernere la volontà di Dio nel momento presente.
Chi è Francesco?
È un peccatore al quale il
Signore ha guardato. È una definizione che proprio lui ha dato nella mia intervista.
È una persona profondamente immersa in Dio, che vive la sua spiritualità in
maniera costante e ordinaria, perfettamente consapevole dei suoi limiti e della
sua debolezza ma nello stesso tempo molto grato al Signore per ciò che gli dà
da vivere. È anche una persona che vive la sua vita stessa come un mistero: a
volte accoglie con sorpresa ciò che gli è dato da vivere, essendo consapevole dell’autorità
che gli è stata e declinandola non in termini di distanza ma in termini di
vicinanza.
Francesco, dall’alto del suo
ministero petrino, avvicina la gente allo sguardo misericordioso e dolce di
Dio.