Articolo pubblicato su L'Unità del 24 giugno
Questa volta Ludwig van Beethoven
e la sua Sinfonia n. 9 in re minore sono rimasti soli. O meglio, senza
l’invitato principale, papa Francesco, assente per “un’incombenza urgente e
improrogabile”. La sedia vuota, al centro della sala, immortalata da tutte le
tv. Simbolo di un papa che non può (o non vuole) esserci perché ha da lavorare
sodo. Forse, dicono alcuni, non ha tempo per rappresentazioni superflue. In
realtà c’è da scegliere il nuovo segretario di Stato, tra i favoriti c’è il
cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato e uno dei membri del
gruppo degli 8 cardinali che stanno preparando, non più ormai in gran segreto,
la tanto attesa riforma della curia. C’è da occuparsi dello Ior, la banca
vaticana. Recentemente, incontrando i padri scrittori de La Civiltà
Cattolica, la storica rivista dei gesuiti
che pubblica i suoi articoli visti e certificati dalla Segreteria di Stato, ha
chiesto loro un aiuto nel saper raccontare una fede che dialoga con l’uomo di
oggi. Perché c’è da fare molte cose, ha detto in quell’occasione, e non ultimo
il ricambio della classe dirigente.
Che succederà, si domandano
“oltretevere”, da adesso in poi con il papa “venuto da lontano”? Mentre
Francesco continua il suo annuncio del vangelo ogni giorno dalla residenza e
dalla cappella di Santa Marta, con una forza interiore e un linguaggio semplice
che rinvigorisce lo spirito del popolo dei fedeli, tra i suoi “sudditi” c’è
anche chi tenta di organizzare una resistenza.
In curia e nei palazzi che
contano un Bergoglio così “gesuiticamente” in forma non se lo aspettavano, e
soprattutto non avevano calcolato la sua simpatia umana, rivelatasi finora
travolgente. Talvolta persino più di quella di Wojtyla, il papa comunicatore.
«Che parli, pure», sussurrano alcuni. L’importante è che non stravolga i
delicati equilibri curiali, che non chiuda lo Ior, che non si impicci, insomma,
di organismi, vertici, carriere. Ma Francesco non perde occasione per
stigmatizzare chi pensa che la Chiesa sia una ong: a ottobre prossimo è
prevista la prima riunione della commissione di otto cardinali che dovrà
cambiare il volto della curia romana, e sullo Ior ha già fatto sapere che così
non va, nominando un uomo di sua assoluta fiducia, mons. Battista Ricca, come
prelato ad interim dell’Istituto per le Opere Religiose. Con i soldi papa
Francesco non ci scherza. Dopo il taglio alle indennità ai dipendenti vaticani
per l’elezione pontificia, il papa è voluto intervenire di persona cancellando
il compenso normalmente spettante ai cinque cardinali che compongono la
commissione di vigilanza dello Ior: euro venticinquemila, non pochi. E già si
parla, nelle segrete stanze, di una riduzione significativa del cosiddetto
“piatto cardinalizio”, lo stipendio dei cardinali. Cinquemila euro al mese sono
troppi, che si adeguino alla crisi finanziaria e si ricordino, soprattutto, di
essere servi della Chiesa.
Una grande ventata di novità. A
quella sedia vuota nel concerto di gala corrisponde una presenza quotidiana
alla messa del mattino a santa Marta. E un annuncio del vangelo che si fa
incalzante. Il rinnovamento riguarderà anche la classe dirigente ecclesiastica,
vescovi, cardinali, non per ultimo il modo in cui vengono gestiti i seminari.
Del resto, sulla linea della resistenza silenziosa c’è più di qualche
presbitero. Sembrano come intimoriti, paurosi del soffio dello Spirito,
spaventati dalle novità. Qualcuno forse teme di perdere la primazia
ecclesiastica rispetto al resto dei fedeli laici. Nell’apertura al Convegno
Ecclesiale Diocesano di Roma del 17 giugno, al quale hanno partecipato
diecimila fedeli laici e pochi sacerdoti, di fronte a un raggiante card. Vallini
in grande sintonia pastorale con il papa, Francesco è stato fin troppo chiaro:
«la Chiesa è madre, non baby sitter». E ancora: nelle parrocchie spesso c’è
qualcuno che si attarda a «pettinare la sua pecora», mentre si dimentica delle
altre novantanove.
Anche nel web si fanno sentire i critici, ma è
soprattutto nel passa-parola quotidiano, durante certe riunioni pastorali,
nelle omelie un po’ “impacchettate” che qualcuno fa passare l’idea che questo
papa dica cose scontate in modo “spagnoleggiante”. Le stesse cose che del
Concilio Vaticano II sono state troppo a lungo dimenticate.
C’è una terribile paura che gira
tra alcuni presbiteri: che il richiamo di Francesco a “uscire dalle chiese”
produca uno strappo allo status sacerdotale – a quella verticalità
Dio-prete-fedele che ha retto ai tornanti della storia ma che ha bisogno di una
costante protezione intra-ecclesiale.
Ci vorrà tempo per cambiare, come
dice Francesco, eppure la strada è segnata.