Tutti
contro tutti. Documenti “segreti”, lettere anonime, guerriglie lessicali fanno
da contraltare al magistero sereno di Benedetto XVI. Ma cosa sta succedendo
all’interno della Chiesa cattolica? Coma mai l’autorità del papa, e dei suoi collaboratori
a lui più vicini, pare sia messa ogni giorno in discussione? Dal caso di Darío
Castrillon Hoyos e Paolo Romeo, i due porporati finiti tempo fa al
centro delle prime pagine dei giornali, e originato dal resoconto anonimo di un
colloquio tra Romeo e alcuni interlocutori cinesi dal quale costoro avrebbero
ricavato la sensazione “che sia in programma un attentato contro il Santo Padre”,
per finire al caso di monsignor Carlo Maria Viganò, il nunzio negli Stati Uniti
del quale sono divenute pubbliche due lettere al papa e al cardinale Bertone
piene d’accuse sulla gestione del Governatorato del Vaticano.
Già,
cosa sta succedendo? Gli esperti di cose vaticane e gli storici fanno notare
che gli “intrighi a corte” ci sono sempre stati in Vaticano, perché il Vaticano
è anche una sede territoriale di uno Stato che ha una diplomazia propria e ranghi
dirigenziali-istituzionali. Ne va da sé che realpolitik, appetiti e
carrierismo, sono i compagni di viaggio di chi, invece, nel silenzio del
tempio, vorrebbe solo ed esclusivamente occuparsi di Vangelo. Solo che prima i
documenti non uscivano dai cassetti e i panni, secondo un ben noto detto
popolare, venivano lavati in famiglia.
Non
c’è più Wojtyla, questo è un dato di fatto. La forte leadership del papa
polacco teneva a bada se non i litigi, almeno le loro scappatoie mediatiche.
Oggi è più difficile. In un mondo che attraversa una crisi epocale in termini
di etica comune e di individualismo sfrenato, la Chiesa cattolica pare in balia
dei flutti del vento e delle scorribande di lobbies e sudditi poco
intelligenti.
Più
che uno sgomitarsi per posti in curia, l’attuale livello di guardia da clima da
guerra che si è determinato “oltretevere”, sembra essere dovuto a un posizionarsi
in vista di un eventuale conclave. In un momento di transizione e di crisi, più
che interessarsi di come annunciare la Parola di Dio, emblematico in ciò è
l’anno della fede indetto dal papa e il nuovo Pontifico Consiglio per la
Promozione della Nuova Evangelizzazione, c’è chi non perde occasione per
immettere nel circuito massmediatico elementi di insicurezza e di tensione. Oltre che di obiettivo
disgusto.
Ma
sbaglia chi pensa che dietro questo lascito di polemiche incomba solo e univocamente
gli appetiti personali o l’idea che si possa condizionare il conclave in un certo
modo. Perché, in realtà, e su questo gli uomini che guidano la Chiesa lo sanno
molto bene, le questioni che la Chiesa dovrà affrontare non più in un futuro
lontano ma nel presente attuale, sono appunto dei temi che “scottano” rispetto
alla storia e alla tradizione millenaria della Chiesa cattolica.
Al
suo interno la Chiesa dovrà, prima o poi, porsi il problema del ministero
petrino e della collegialità dei vescovi, così di come le donne potranno dare
una spinta innovativa all’annuncio del Vangelo, e prima o poi bisognerà pur
parlare del celibato dei preti, argomento spinosissimo ma ormai dibattuto
serenamente da gran parte del popolo cattolico. Né di poco conto è all’ordine
dei lavori una vera e riconosciuta presenza laicale all’interno delle decisioni
più importanti che i pastori prendono. Al di là del solito ritornello “Concilio
sì-Concilio no”, le questioni sul tappeto sono le solite, verrebbe da dire, di
sempre. Quelle che, cinquanta anni fa, il Concilio Vaticano II aveva dibattuto
con coraggio e lealtà. Mentre al suo esterno la Chiesa dovrà parlare in modo
più schietto di ecumenismo e dialogo inter-religioso.
Insomma,
le questioni ci sono e non sono questioni da poco. C’è di mezzo il futuro dell’annuncio
del Vangelo del mondo. Forse, dicono i riformatori più convinti, anche il
futuro di una Chiesa finalmente lontana dai suoi lacci con il potere temporale,
che offusca, a volte, l’immagine della Chiesa sposa del Cristo.
Questioni
forti che stanno producendo nelle comunità ecclesiali un altrettanto fermento
ideale sul come uscirne fuori, ma non altrettanto, per esempio, nella teologia
tradizionale, che ancora risente di un clima conservativo che ne limita libertà
e profezia.
Qualcuno,
per esempio un laico come Ernesto Galli della Loggia, propone attraverso le
pagine del Corriere della Sera, che
per uscire fuori dalla stagnazione attuale basti modificare l’elezione del papa
in conclave, ampliando la possibilità di votare anche ai vescovi di tutto il
mondo. Questo consentirà al papa prossimo di non sentirsi accerchiato dagli
intrighi di curia, essendo eletto da un numero vastissimo di elettori che rappresentano,
a loro volta, le comunità ecclesiali di residenza.
In
realtà, e non da oggi, rispetto a soluzioni burocratiche e tecnicamente legate
all’architettura della Chiesa, fa eco una serie di personalità e di idee, per
lo più legate a esperienze di preghiera e di silenzio, che con coraggio e
libertà indicano la via di un nuovo annuncio del Vangelo che passi per le
“forche caudine” della radicalità evangelica. Enzo Bianchi, priore della
comunità di Bose, lo predica da anni. I monaci camaldolesi, soprattutto oggi
che il nuovo priore è il giovane dom Alessandro Barban, ne fanno un motivo di
orgoglio e impegno da sempre. Il cardinale Gianfranco Ravasi ha saputo trovare
un metodo esegetico e quindi “pastorale” che faccia dialogare mondo e cultura,
fede e storia avendo davanti solo unicamente il Vangelo e sembra, oggi, l’unico
ad aver preso il posto di un uomo e profeta della statura del cardinale Carlo
Maria Martini.
È
possibile, dunque, che la Chiesa ricominci a parlare di Gesù non nelle stanze
ovattate del potere ma nel deserto del cuore degli uomini di oggi?
Non sono, queste, discussioni da teologi astratti. Sono, invece, il
campo di battaglia del prossimo conclave. E il prossimo papa non potrà non
tenerne conto.