Articolo pubblicato su www.vinonuovo.it
L’Evangelii Gaudium fatica a essere
digerita dalle comunità parrocchiali. Mentre papa Francesco ridisegna le mappe
di un annuncio missionario oltre i confini geografici della
Chiesa-istituzione-curia, il fardello del cambiamento ricade inesorabilmente
non solo sul popolo di Dio in generale, ancora sorpreso dall’effetto-Francesco,
ma soprattutto sui laici “impegnati” e su tutti coloro che, ogni giorno,
prestano il loro servizio alla Chiesa “domestica” e quindi alla comunità
parrocchiale.
Me
lo diceva molto bene Luigi Accattoli quando, a margine della presentazione del
mio libro Chiesa anno zero, mi
proponeva di riflettere non solo sull’istituzione-Chiesa ma anche sul popolo di
Dio. Che effetto hanno le parole “nuove” di Francesco sulle comunità
ecclesiali? Come stanno reagendo? Sono pronte a cambiare il loro modo di
annunciare la parola oppure restano disorientate e quasi impaurite dal mettere
in discussione antichi privilegi (anche spirituali), ritualità di
collaborazione con i pastori ormai consolidate nel tempo, interessi personali e
di gruppi in alcuni servizi pastorali?
Sono
anche io convinto sempre più che la rivoluzione di Francesco avrà luogo se
prima, dal di dentro della pancia della madre Chiesa, ci sarà un bagno di
conversione interiore che toccherà non solo i presbiteri, ma anche quel popolo
di Dio, i cosiddetti “laici”, che proprio con i pastori condivide la vigna del
Signore e dovrebbe essere corresponsabile dell’annuncio evangelico.
Racconto,
in proposito, un’esperienza tratta dalla mia comunità parrocchiale abbastanza
significativa per spiegare ciò che bolle in pentola. Francesco va avanti,
certo, ma con qualche intoppo.
Come
tutti sanno, Santa Marta è il luogo dove Francesco vive e celebra la messa alle
7 di mattina, dove è solito salutare i partecipanti. Da vescovo di Roma quale
si sente, ha giustamente permesso alle parrocchie romane di partecipare, a
turno, alla messa mattutina. Al posto delle udienze personali dei precedenti
pontefici, spesso riservate ai vip o ai soliti raccomandati, Francesco ha così reso
visibile a tutti quanto la Chiesa sia davvero popolo di Dio. Ma siamo davvero
sicuri che i parroci e le comunità parrocchiali intendano davvero la messa a
Santa Marta come un cammino verso il nuovo annuncio oppure, invece, un
perpetrare di antiche logiche medievali legate alla concessione di indulgenze,
favori e regalie?
Grazie
al mio lavoro, infatti, ho appreso alcuni giorni dopo che venerdì 13 giugno la
mia parrocchia è stata a Santa Marta dal papa. Peccato: averlo saputo prima avrei pregato per l’iniziativa e avrei
fatto festa. Come me, infatti (a oggi ancora non sono stato cacciato dal
consiglio pastorale...), non lo hanno saputo metà dell’attuale Consiglio
pastorale, tantissimi collaboratori, catechisti, educatori, i giovani e,
ovviamente, la comunità parrocchiale nel suo intero. Un incredibile silenzio è
sceso su tutta l’operazione Santa Marta.
A prenderla con il sorriso, mi immagino
il pulmino, quatto quatto, alle quattro di mattina, mentre solca le vie del mio
quartiere con i 20 fortunati prescelti alla volta del Vaticano, senza svegliare
nessuno. Si dirà: il parroco sceglie chi vuole, e poi i posti sono pochi.
Giusto, forse. Anche se avrebbe dovuto scegliere, secondo un’ottica di
comunione che non è un mero stato esistenziale ma un dovere evangelico, in base
alla “rappresentanza” e non in base a criteri personali che peraltro non ha
spiegato a nessuno, nemmeno a coloro che hanno partecipato all’evento.
Ma, al di là della scelta di chi dovesse
partecipare, lo sconcerto nasce dall’assoluto riserbo con il quale è stata
gestita l’intera vicenda. Una notizia che i prescelti sapevano già almeno un
mese prima e che nessuno ha osato condividere con amici (?!), educatori, catechisti,
il resto della comunità, qualcuno perfino in famiglia. Mi domando: per paura di
cosa? Un silenzio servile dove i laici, ahimè, fanno la figura del gregge e
dove alcuni pastori (per fortuna non tutti sono così…) rimangono gli unici detentori
del dono della grazia e di un retaggio di status ecclesiastico duro a morire
che credevamo stesse per scomparire.
Un disastro pastorale, dunque, a
prenderla dalle parti del vangelo. Un disastro ma anche una coerente azione
pastorale a parer mio assai preconciliare che ha visto durante l’anno il consiglio
pastorale arrendersi a organismo burocratico di “passacarte” e la comunione tra
servizi pastorali e gruppi (sinodalità-prassi evangelica) assumere le vesti di contorni
verbali e mai sostanziali. E la Chiesa “in uscita” di papa Francesco?
Ecco, questo è il punto. I laici, gli
impegnati nelle comunità parrocchiali, sentono il bisogno di mettersi in
discussione? Desiderano andare oltre il loro gruppetto di riferimento? Sapranno
obbedire in piedi? Avranno la forza di dire, ad alta voce: «caro “don”, stai
sbagliando!» nello spirito della correzione fraterna? E i pastori, i nostri
amati pastori, riescono a capire che il soffio dello Spirito sta scendendo,
inesorabilmente, anche sulle loro/nostre comunità templi/chiese e spazzerà via,
prima o poi, ogni tradimento del vangelo?
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