Eppure
Bergoglio li ha consigliati i vescovi italiani: sceglietevi voi il prossimo
presidente della Cei. Raccomandazione “umilmente” respinta al mittente. Troppo
particolare il rapporto tra il papa e la Chiesa italiana, di cui, appunto, è
anche il primate. Semmai una rosa di nomi suggeriti dai vescovi stessi, ma poi
la scelta finale che ricada sul papa. Come giusto che sia. Peccato che non
succede nel resto delle Chiese del mondo dove, appunto, il primate lo elegge
l’Assemblea dei vescovi locali.
Una
storia, questa dell’elezione del prossimo presidente della Cei, che in realtà
nasconde, almeno mediaticamente, ciò che bolle in pentola nella “potente”
Chiesa italiana. Bergoglio la sta sottoponendo, infatti, a una cura drastica:
ne ha chiesto un nuovo statuto, ma soprattutto, indica ai suoi pastori una
completa conversione pastorale, più del cuore che burocratica.
Nunzio
Galantino confermato per cinque anni segretario generale della Cei. Don Luigi
Ciotti mano nella mano con il papa. Don Angelo De Donatis che predica gli
esercizi spirituali al papa e alla curia. Mons. Bregantini che scrive le
riflessioni per la via Crucis del venerdì santo. Mi limito a fare il cronista. E
ancora: a maggio, durante l’Assemblea generale della stessa Cei, Bergoglio pronuncerà
la prolusione. E cosa dirà?
Non
ricordo interventi così incisivi di un papa nella Chiesa italiana. Sì, certo,
Giovanni Paolo II nel 1985, durante il Convegno ecclesiale di Loreto, sconfessò
l’ala conciliare che faceva capo al card. Martini, aprendo di fatto l’era
Ruini, ma non accadde durante un’Assemblea ordinaria. La differenza è notevole.
Quello che cerca Francesco è una Chiesa umile, sobria, povera di averi, serva
del popolo di Dio e dell’umanità. Dopo
il pontificato dialogico di Paolo VI, quello comunicativo-missionario di
Giovanni Paolo II, e quello intellettuale di Benedetto XVI, arriva dunque la
Chiesa sociale di papa Bergoglio.
È chiaro ormai che una Chiesa
potente con i potenti e docile all’idea di religione civile, Bergoglio la
detesta. La Chiesa che vuole e immagina è “incidentata”, che esce dalle mura
del tempio per incontrare gli uomini lungo le strade delle periferie.
Teologicamente e pastoralmente ne parla nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium. E per quanto riguarda
esperienze pastorali da seguire, basta dare un’occhiata ai nomi dei recenti cardinali
oppure ai nuovi membri delle Congregazioni della curia romana per rendersi conto
di cosa sia importante, oggi, per papa Bergoglio.
Eppure, la domanda rimane: a
maggio, cosa dirà alla Chiesa italiana Bergoglio? Una cosa è sicura: un certo
clima da “progetto culturale” e di Chiesa mediatrice di interessi (anche economici)
è finito. Rottamato. Il progetto è “sociale”, pastoralmente vicino agli uomini di
buona volontà impegnati con chi chiede aiuto e ai lontani. Un rinnovamento
quasi interiore all’interno dell’episcopato italiano, che predilige l’annuncio
del vangelo sulla strada che non la comunicazione di un’idea vincente di Chiesa
nelle stanze del potere o negli ammiccamenti degli “atei devoti”. I valori non
negoziabili non sono altro, per Bergoglio, che l’abbandonarsi con misericordia
e tenerezza al vangelo che affascina e accarezza.
Ma, è questo il paradosso, sembra
che questo “schema” ancora non faccia completamente breccia dalla maggioranza
dei pastori italiani. C’è quasi una paura di incontrare il “nuovo”. Ecco perché
i prossimi mesi saranno fondamentali per la Chiesa italiana. Francesco aprirà
la strada. Alla Chiesa italiana la libertà e la saggezza di percorrerla con
coraggio.