Articolo pubblicato nel numero di ottobre di Jesus
All’ex
convento di San Girolamo nel delizioso borgo di Spello questa estate c’è stato
un gran via vai. Più di seicento persone, tra luglio e agosto, sono passate per
stare in po’ da sole con il Signore, in un clima di preghiera e silenzio reso
possibile da una porta aperta che attende l’ospite, anche il più inatteso. Oggi
Casa San Girolamo è gestita dall’Azione cattolica italiana che, con l’aiuto del
comune di Spello, ha rimesso in piedi le mura fatiscenti dell’ex convento messe
a dura prova dal terremoto in Umbria e dal sostanziale abbandono dei precedenti
“inquilini”. Loro, i Piccoli fratelli del Vangelo della grande famiglia di
Charles de Foucauld, pian piano hanno preferito altre terre di missione e sono
“traslocati” in un eremo distante appena qualche chilometro, il Beni-Abbes.
Al
San Girolamo, invece, la vita spirituale ha ripreso fiato. Gruppi parrocchiali,
giovani coppie, viandanti della fede, stanno riscoprendo questo luogo di
solitudine spirituale e di contemplazione. C’è chi si è fermato magari un solo
giorno, ma tutti hanno voluto sostare in preghiera davanti la tomba di colui
che ha reso celebre, dal lontano 1965, il convento: Carlo Carretto.
Sono
passati venticinque anni da quel lontano 4 ottobre 1988 in cui Carlo Carretto
si spense tra le braccia dei molti che gli avevano voluto bene. Già, proprio il
giorno di San Francesco. Il poverello di Assisi che aveva inebriato la vita di
fratel Carlo fino a fargli scegliere la povertà, la sobrietà e l’accoglienza
come l’unico stile di un abbraccio con gli uomini e con il mondo. «Penso sempre
che il 4 ottobre sia la data fondamentale per comprendere la storia di Carlo –
chiarisce fratel Gian Carlo Sibilia, priore dei Piccoli fratelli di Jesus
Caritas dell’abbazia di Santa Croce in Sassovivo, fedele amico e suo esecutore
testamentario, che ha seguito passo dopo passo i ventitré anni che hanno visto
Carretto a Spello, dal 1965 al 1988 -. Il dialogo con il creato, l’ascolto
delle ansie e delle domande degli uomini, e una vita contemplativa mai
disgiunta dal lavoro manuale nei campi e da una liturgia squisitamente
“conciliare”, scevra da ogni compromesso con l’estetica del sacro e con
ritualismi che già si considerava superati allora, sono nient’altro che
l’applicazione pratica non solo del Concilio Vaticano II, ma tornando un po’
indietro, di quelle “fonti francescane” che hanno illuminato, insieme
all’esempio del beato Charles de Foucauld, la vita spirituale di fratel Carretto.
Il fatto poi che un papa di nome Francesco proprio oggi, il 4 ottobre, venga a
visitare Assisi, è un ulteriore segno che Carlo ci aveva visto giusto. Lo
Spirito Santo ci ha inviato un pastore che incarna l’evangelio con uno stile sobrio e di ascolto. Non potevamo
aspettarci di meglio».
Eppure
non tutto è andato così liscio. E anche la tempra robusta di fratel Carlo ha
dovuto misurarsi con i ritardi pastorali di una Chiesa che alcune volte ha
fatto finta di non capirlo. Un’avventura umana destinata a grandi cose, la sua.
Nell’immediato dopoguerra è presidente centrale della Giac, il polmone
giovanile dell’Azione cattolica italiana e, di fatto, di tutta la Chiesa
italiana. A lui si deve lo storico raduno dei 300mila “baschi verdi” nel
settembre del ’48 in piazza San Pietro, simbolo di una Chiesa e di un laicato
forte, pronto alla battaglia, anche elettorale, in difesa del papa. Ma già, dal
1952, a causa della famosa “operazione Sturzo”, esplosero i contrasti, in campo
cattolico, riguardo ai rapporti con la politica. Luigi Gedda, diventato da poco
presidente di Azione cattolica, spinse, caldeggiato anche dalla curia vaticana,
per una lista di cattolici, monarchici e fascisti da presentare alle
amministrative di Roma in contrapposizione alla lista unitaria delle sinistre.
Carretto, invece, e con lui i giovani di Azione cattolica, fu totalmente in
disaccordo. L’operazione fallì grazie anche al diniego dello stesso Sturzo e di
Alcide De Gasperi, ma lasciò il segno. Due posizioni inconciliabili: da un lato
la Chiesa-istituzione che corteggia e media strategie di potere con la
politica, dall’altro la Chiesa-comunità, libera dai condizionamenti temporali,
illuminata solo dallo sguardo sapiente della Parola.
Una
religione civile, come la chiama Enzo Bianchi, oppure una teologia incarnata
nella storia? Lo stesso dibattito che ha accompagnato la storia della Chiesa in
Italia fino ai giorni di oggi, e che con papa Francesco sembra aver preso una
direzione più fedele alla fedeltà radicale nella “buona notizia”.
Carretto,
allora, la pagò. Si nascose al mondo per dieci anni nel deserto del Sahara ed
entrò a far parte della Congregazione religiosa dei Piccoli fratelli di Gesù
fondata da Charles de Foucauld. Silenzio e preghiera, davanti solo l’Assoluto.
Ma da lì, da quell’esperienza dura e per certi versi liberante, nacque il
“nuovo” Carretto. Da lì prese spunto quel fortunatissimo libro, Lettere dal deserto, che diventò ben
presto un best seller e fece di fratel Carlo uno degli autori cattolici più
venduti e letti in assoluto. Centinaia di migliaia di ristampe, innumerevoli
traduzioni in ogni angolo sperduto del mondo, e l’idea di Spello, quel convento
di San Girolamo, che nell’immaginario dei cattolici impegnati del dopo
Concilio, fu insieme dimora spirituale e rifugio per chiunque avesse voluto
abbracciare il creato e un Dio che sorride.
E
oggi, che ne è di fratel Carlo? Il suo messaggio è ancora di attualità? Sono
passati venticinque anni, eppure fratel Carlo è vivo e presente nella storia
della Chiesa e delle comunità cristiane. La sua memoria non è mai venuta meno.
L’ex convento di San Girolamo è tornato a vivere grazie all’impegno dell’Azione
cattolica. Recenti studi e una fiorente convegnistica fanno luce sugli aspetti
più delicati della vicenda storica di Carretto: in tal senso il materiale
cartaceo e audio del Fondo Carretto è stato archiviato e permette agli studiosi
di accedere a una gran mole di documenti, carteggi e lettere che descrivono il
clima storico della sua vicenda umana, in particolare riguardo alle sue
posizioni contrarie all’abrogazione della legge sul divorzio. I suoi libri,
ancora oggi, vengono letti e continuamente ristampati, soprattutto in America Latina. Tanti gruppi parrocchiali
portano il suo nome. Nell’aprile del 2010, in occasione dei cent’anni dalla
nascita, due pubblicazioni edite da San Paolo Edizioni ed Edizioni Paoline hanno raccontato la sua
vita. E oggi non manca la memoria via web: il gruppo “Amici di Carlo Carretto” di
facebook si appresta a toccare i mille aderenti.
Una
lenta ma inesorabile attenzione nei confronti di Carretto che non nasconde
pause o cedimenti. E non potrebbe essere che così. La Chiesa più “impegnata”,
vicina ai lontani e a chi soffre, attenta all’ecumenismo e alle domande che
pone la salvaguardia del creato, in questi anni di sostanziale allontanamento
dal Concilio Vaticano II, ha avuto tra le sue fila un servo fedele nella
persona di fratel Carlo.
Non
a caso, alcuni lo hanno chiamato “il profeta di Spello”. Ha dato spazio alla
contemplazione pura restituendole il “Dio dei sette giorni la settimana” e non
il Dio unico della messa domenicale: la preghiera verso il Signore e i fratelli
è anche l’abbraccio con il creato e l’ambiente che ci circonda. Ha sdoganato la
Bibbia, non più oggetto sacrale in mano solo ai sacerdoti. Oggi può sembrare
una cosa ovvia, ma quarant’anni fa non era affatto così. Ha masticato la Parola
di Dio, dandola in pasto all’umile, al più lontano, al desideroso di dialogo. Ha
privilegiato l’ascolto più dell’accoglienza, l’incontro prima della carezza. Le
Beatitudini con Carretto diventano pietra d’angolo di un nuovo lessico civile
dove l’Altro non è più straniero. La bellezza della liturgia, lontana anni luce
da un sacro che spesso ammoniva e giudicava, torna a splendere nelle messe
comunitarie dove il popolo di Dio partecipa e si sente parte di un’unica
liturgia e canto di lode. I laici? Obbedienti in piedi. Perché vogliono starci
in questa Chiesa con pari dignità rispetto ai pastori, sulla scia di quella
corresponsabilità tra laici e gerarchia ben ispirata dalle pagine più belle del
Concilio Vaticano II.
Il
card. Carlo Maria Martini, sostando di fronte alla sua tomba, disse: «Mi sembra
che Spello risponda a una necessità del nostro tempo, a una ricerca: è una
scuola di preghiera che rimane un punto di riferimento per la storia della
comunità ecclesiale italiana. Tante persone sono venute qui e hanno tratto ispirazione
per il primato della contemplazione nella vita. Che cosa significa considerare
una figura come quella di Carlo Carretto? Pur se tra loro diversissimi,
Francesco d’Assisi e Carlo Carretto sono figure che vediamo accomunate nel
tentativo di realizzare il discorso della
montagna nel loro tempo, di vivere il Vangelo nel loro tempo. Francesco rimane
in una luce altissima, forse un esemplare perfetto, quasi inimitabile, di vita coerente
con lo spirito evangelico. Ma il messaggio di fratel Carlo è praticamente
uguale a quello del santo: anche oggi si può vivere il Vangelo con coerenza e
onestà».
Una
spiritualità viva e ben piantata sulle vicende dell’uomo della strada, quella
di Carretto. Bibbia in mano e vanga nell’altra, spiegava come l’apporto della
specificità femminile nella comunità cristiana dovesse essere valorizzata e non
più ghettizzata ai “soliti” lavori domestici o caritatevoli. Così come la sua
posizione in favore di un ripensamento del celibato dei preti che gli valse
anche un interessamento della Congregazione per la dottrina della fede, guidata
dal 1981 dal Prefetto card. Joseph Ratzinger. «Nella comune maniera di vivere
oggi il sacerdozio nelle diocesi – scrive Carlo Carretto in Ho cercato e ho trovato -, direi che il
vero celibato mistico, gioioso, esaltante, creativo è divenuto un’eccezione. Ma
come fa la Chiesa a non vedere queste cose? Come fanno i vescovi a sopportare
simili ambiguità o, per lo meno, simili disastri di uomini, schiacciati dal
peso di un celibato solo giuridico?».
A
venticinque anni dalla morte di Carlo Carretto viene da domandarsi quanto la
Chiesa oggi sia sulla strada della profezia evangelica. Francesco sta lì, ogni
giorno, a indicarci che è possibile sognare una Chiesa della profezia. In
fondo, non è stato anche un grido di dolore e amore, quello che fratel Carlo
dettò da un letto di ospedale nel febbraio 1987 a un cronista di Adista: «Quanto sei contestabile Chiesa,
eppure quanto ti amo!»?
La
profezia di Carretto è in queste ultime e disarmanti parole sulla Chiesa. Una
Chiesa dell’istituzione e una Chiesa della comunità dei credenti che sono il
popolo di Dio, che formano l’ecclesia,
senza distinzioni. Carretto de-istituzionalizza il sacro, la gerarchia, il suo
stesso eremo, nel Vangelo che annuncia la buona notizia. Criticare la Chiesa,
ma amarla sempre. Con libertà e coraggio. Chiedendo sempre ad alta voce, e in
piedi, il rispetto per le domande di un impegno laicale che vuole servire il
nostro tempo “con” e non “per” la Chiesa.
Oggi
c’è papa Francesco. Le speranze di Carlo Carretto per la “buona notizia” hanno
finalmente ri-trovato la via di casa.