Quel
13 marzo di sette mesi fa un uomo venne con il nome di Francesco. Ero lì, in piazza
San Pietro, come tanti altri. Un silenzio incredibile profumava l’aria e una
preghiera laica intima si diffondeva tra i vicoli di Roma.
Nessuno
aveva osato tanto. Tra i prìncipi della Chiesa, tra il popolo fedele. Eppure,
oggi, dopo il giusto tempo dello Spirito, possiamo dire che mai nome fu quello
giusto per un uomo che sta cambiando il mondo.
Francesco,
il poverello d’Assisi, Francesco, il capo della Chiesa universale, e Francesco
servo degli ultimi nella mondanità spirituale di un mondo spesso indifferente
al grido degli ultimi, è il nome nuovo che dà coraggio e speranza. Oltre gli
steccati ideologici, le controversie dottrinarie, i termini etici di un nuovo
sviluppo globale dove le parole sobrietà e decrescita felice sono la strada da percorrere.
Oggi
c’è il dramma di Lampedusa, i cammini di fame e libertà dei popoli scappati dalla
“primavera araba”, e un capitalismo finanziario che non ha vinto la sua scommessa
di crescita per il mondo globalizzato.
Nel
Mediterraneo sconvolto da guerre, come duemila anni fa, c’è la speranza di un
nome.
Il
nome della pace, della speranza, della dignità di ogni uomo.
Oggi
questo nome è Francesco.
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