Avrei
voluto essere lì quella sera dell’11 ottobre, in piazza San Pietro. Forse avrei
avuto, oggi, qualche capello bianco in più, ma l’immagine e la cronaca di quei
giorni ancora mi rincorrono, come se non volessero mai perdersi. La mia
generazione appena post-conciliare ha letto molto del Concilio Vaticano II, ha
ascoltato i racconti di chi c’era stato e di chi sognava una Chiesa nuova e
piena di speranza. E ha imparato a sognare.
Avrei
voluto essere lì quella sera. E vedere i vescovi di tutto il mondo con i loro
abiti liturgici vestiti a festa mescolarsi ai fedeli di altrettanti mondi,
strade, viottoli e certamente anche sagrestie. Una folla di umanità che
traghettava la Chiesa sulle sponde del dialogo e dell’amicizia con il mondo.
Per i nati dopo l’11 ottobre del 1962 tutto è stato diverso. Non sappiamo forse
cogliere appieno il fascino pieno di mistero del canto gregoriano o di un
latino che comunque era memoria e tradizione, e sicuramente abbiamo un’idea del
sacro lontana dalla sua purezza che invita, ancora oggi, all’intimità con Dio.
Ma, se gran parte di quella generazione, oggi, crede, tra incertezze e dubbi, è
perché la Chiesa universale ha avuto il coraggio di condividere un Concilio per
riformare se stessa. E perché, lì, in quel dato preciso momento storico, il
mondo ha conosciuto Giovanni XXIII, il papa della porta accanto, dei sogni sulla
profezia e della paternità e fraternità. E la Parola si è fatta Storia.
Se
la fiamma della fede non si è ancora spenta in questo tempo barbarico che
stiamo attraversando, è per questo desiderio mai sopito nelle coscienze di
poter vivere, un giorno, un altro 11 ottobre. Il giorno in cui la Chiesa si
spoglierà dei suoi abiti pontificali indossando il saio della sobrietà, il
giorno in cui la bellezza e il sorriso si scateneranno contro i mercanti del
tempio, l’ora in cui la Chiesa sarà di nuovo compagna e amica di un
uomo alla ricerca del suo Dio.
Già
oggi la Chiesa è, in larga parte di essa, speranza e profezia. Non siamo così
sciocchi dal non pensarlo. Ma noi continuiamo a sognare. A desiderarla
migliore. E a innaffiare il fiore rosso della speranza per chi verrà dopo di
noi, che godrà di un altro 11 ottobre. E quel giorno, solo quel giorno, quando
le nubi si sveleranno in una nuova aurora, anche noi, pietre di scarto di un
tempo difficile e disorientato, troveremo benedizione nella pace dei giusti.