Ci immaginiamo l’umore dell’operaio che torna a casa la
sera stravolto dalla fatica mentre percorre i suoi ultimi chilometri da
pendolare. O l’artigiano e il commerciante che vedono, ogni giorno,
allontanarsi l’ombra dei clienti (una volta) fissi. O il padre di famiglia alle
prese con le rate dell’Imu, con i libri scolastici da comprare per i propri
figli e con i consumi di luce e gas da pagare. Ci immaginiamo l’umore. Ma,
forse, dopo l’ultimo e vergognoso scandalo della politica che coinvolge la
Regione Lazio, avvertiamo che il sentimento di rassegnazione per la recessione
economica che un pezzo d’Italia “normale” vive sulla propria pelle ogni giorno,
diventa, ora dopo ora, rabbia e senso di nausea per la vergogna di una politica
corrotta che non ha prezzo, né limite.
Non è cambiato molto in quest’ultimo decennio
nell’amministrazione della politica. Malgrado la stagione di Tangentopoli, la
politica del belpaese ha vissuto di rendita, status, privilegi finanziari e
burocratici rispetto all’Italia “qualunque” che tira avanti la carretta e che,
oggi, rischia di non arrivare a fine mese. La periferia dell’impero (regioni,
comuni, provincie…), volutamente non controllata, ha moltiplicato il costo del
centralismo burocratico-statale all’infinito: un costo enorme fatto di soldi
(dei contribuenti) sperperati al vento e di inefficienze e irresponsabilità
amministrative che stanno regalando all’anarchia totale e all’attenzione
interessata dei “furbetti del quartierino” il bene-Italia.
Oggi “er Batman” di Anagni, ieri “lo squalo” di
sbardelliana memoria. Oggi il Lazio, poc’anzi la regione Lombardia. Oggi il
Pdl, appena ieri la Lega, fino alla Margherita. La gente non ne può più. E ha
ragione. Non è questione solo di ostriche e champagne, di suv e macchine blu,
di belle donne (“gnocche” è la terminologia esatta mutuata dallo slang romano
che ha varcato i confini nazionali) e personaggi da cinepanettone di Natale
che, ahinoi, dovrebbero amministrare il bene pubblico, di case affittate con i
soldi dei contribuenti e di consiglieri pagati a peso d’oro. Il problema vero è
che la politica non sa trovare la parola “the end” a un film che la gente
comune sta vedendo troppe volte, con l’eccezione dell’attuale governo Monti
che, almeno in fatto di etica e trasparenza, ha invertito il trand nazionale.
Non c’è tempo da perdere per replicare al senso di
ripugnanza che la maggioranza degli italiani sente arrivarsi addosso. Forse la
politica ha ancora un’ultima chance. L’approvazione di una legge anticorruzione
per la sfera pubblica in tempi brevissimi è oggi un imperativo categorico,
quasi più importante dell’andamento dello spread. Ma è tutta la politica che
dovrebbe essere regolamentata: il limite ai mandati pubblici rappresentativi,
il rinnovo della classe dirigente, la democrazia interna ai partiti, la
trasparenza dei bilanci, finanzi alla responsabilità oggettiva della politica.
Se un medico sbaglia, paga. Perché non un politico?
Ora o mai più. Ma una regolamentazione della politica è
solo la prima pietra di una casa che ha molti mattoni. C’è un enorme vuoto
etico da costruire (di nuovo) insieme: un ethos dei diritti e doveri di
cittadinanza perso in questi anni dietro l’illusione dell’uomo salva-tutto,
complice un’opposizione politica che ancora oggi litiga per le primarie invece
di presentare un progetto serio e innovativo per il paese.
Invece di contarsi per schieramenti e uomini, per capacità
di leadership e aggregazioni future, è arrivata l’ora dei programmi e delle
cose da fare. E il mondo cattolico non può star fermo a guardare.