Il soffio di papa Francesco è
sceso sui vescovi italiani come una carezza dolce in una giornata di maggio
quasi autunnale. “Seguitemi”: basta questo monito. Come Pietro seguì Gesù. È
l’invito iniziale che papa Francesco fa nella sua prolusione di apertura alla
66a Assemblea generale della Cei. Seguitemi. Non abbiate paura. Così, chi
cercava nelle parole del papa simboli di politica ecclesiale da poter offrite
all’uditorio affamato di guerre tra prelati, ha trovato invece la saggezza del
padre che consola, consiglia, sprona.
Un papa Francesco insolitamente
“spirituale” questo visto all’Assemblea generale della Cei. Prodigo di consigli
spirituali, perché in fondo fare il vescovo è mettersi a disposizione del proprio
popolo, quel popolo di Dio che sa riconoscere il pastore buono, la Chiesa
bella. Non reclama statuti da rinnovare il papa, anche se il presidente
“uscente” Bagnasco ne accenna nel saluto di apertura. Spetta in ogni caso ai
vescovi italiani decidere sul futuro della Chiesa italiana. Non dice cosa
debbano fare nel dialogo con la società e con la politica. Non si impiccia di
questioni che non sono di sua competenza. Eppure, quel “seguimi” è il più
importante dei segni che si potevano ascoltare. Un “seguimi” che ha la
suggestione della primizia di Pietro e la misericordia di chi si affida al
Padre.
La carezza del papa così è scesa
lieve e indolore, eppure fitta e condensata di messaggi forti. Una Chiesa di
carità senza verità non va da nessuna parte. Seguire il Regno significa vivere
decentrati rispetto a se stessi. L’unità nella collegialità è l’esercizio
primario della profezia. La Cei deve essere uno spazio di comunione. La
mancanza di unità è il peccato più grande della comunità ecclesiale. Le chiacchiere,
le bugie, le lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgere, la
gelosia, l’invidia: quanto è brutto il cielo di chi è suggestionato da se
stesso. Ritornare dunque all’essenziale, non alle adunate di piazza, sembra
suggerire Francesco. Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza
che è in voi. E poi ancora: i disoccupati, i migranti, la famiglia (tutta la
famiglia, anche chi vive perché ferito negli affetti), l’abbraccio con
l’umanità stanca e sola ma bisognosa di amore.
Tutto qui? Sì. Una carezza dolce,
sulle orme del vangelo. La scialuppa di salvataggio per una Chiesa italiana
orfana di valori non negoziabili e adunate di piazza, pienamente inserita in un
tempo di riconciliazione e nuova speranza.
La carezza, non il bastone. Ma
una carezza che rinfresca e si immerge dentro il volto di ogni prelato e laico,
dove dimorano pianto e sorriso.
La presidenza della Cei farà il
resto, sotto l’occhio attento e benevolo di Francesco, chiaro. Redimerà
statuti, cambierà i suoi
rappresentanti. Ma il lessico della nuova speranza oggi, stasera, in un
pomeriggio di maggio autunnale, ha di nuovo solcato la vita degli uomini. Ha
annusato il gregge di Dio. Per una nuova primavera della Chiesa italiana.
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