Adesso che anche l’ultimo twitter
o l’ultimo scambio di post su facebook ha rimandato nella case di tutti noi la
drammatica telefonata tra i comandanti De Falco e Schettino nella notte del
terribile incidente della nave Costa Concordia, adesso che anche nelle nostre
cene, nei discorsi, nei salotti, negli uffici, nelle battute tra amici sono
rimasti impressi farsa e tragedia, e quell’intercalare del tono di voce tra i
due comandanti così distante e diverso, un punto bisognerà pur metterlo.
La realtà ha superato la
finzione, come nei migliori film americani. Come il Titanic, come L’aereo più pazzo del mondo. È come se, per un attimo, tutti gli elementi del
creato che fanno grande e straordinaria l’avventura umana si siano messi a
danzare insieme superando i migliori registi di action movie. Realtà e
finzione, senso del dovere e sbadataggine, altruismo ed egoismo, preparazione e
insufficienza, professionalità e incompetenza, tecnologia ed errore umano: c’è
tutto ciò nel dramma del naufragio della nave Concordia. Ma chi è questo
Gregorio De Falco, campano come il collega Schettino, tanto per sgombrare dal
campo ogni ghettizzazione razziale sull’argomento, capitato in un’oscura notte
di gennaio a ricordarci che gli esseri umani sanno far di meglio, ogni tanto?
Chi è, forse uno di noi? Chi è questo oscuro signore (fino a ieri), classica
famiglia con due figli, che nella prima intervista raccolta dal giornale Il
Tirreno ricorda i suoi marinai, nomi
nascosti ai più, che si sono dati da fare per salvare più vite possibili, e
subito dopo chiede: “Dimenticatevi di me”?
Certo, le riflessioni da fare
sono tante. La pratica del giro a bassa costa delle navi da crociera, e non
solo delle navi più grandi, è cosa nota alle capitanerie di porto. Le spiagge e
le coste più belle sono prese d’assalto ogni anno da ogni tipo di barche, e
ogni anno ci sono morti, senza contare il danno ambientale derivante
dall’afflusso massiccio di carburante. È ora di farla finita.
La tecnologia da questa storia
poi non ne esce benissimo. E l’uomo che dovrebbe guidarla addirittura peggio.
Una piccola città navigante con quattromila abitanti viene spaccata in due da
uno scoglio appena affiorante: c’è qualcosa che non va.
Anche se il gioco della caccia al
colpevole e all’esaltazione dell’eroe di turno non ci piace, c’è da chiedersi
quali siano i metodi di selezione dei propri ufficiali di un grande gruppo come
la Costa crociere che affida le sue navi a capitani così poco affidabili, presi
dal panico in un momento in cui invece la capacità gestionale dovrebbe essere
al massimo.
Mentre il film della “telefonata”
fa il giro del mondo e arriva sui teleschermi dei tg internazionali, la nave
Concordia in bilico su uno spuntone di roccia, a pochi passi da un abisso di 70
metri, rappresenta la faccia ideale di quest’Italia presa, come in un set
cinematografico, tra il senso del dovere e del lavoro di un De Falco qualsiasi,
e il ritratto più becero ed egoista di un capitano-cittadino che se la fila a
gambe levate per salvaguardare solo la sua persona.
I danni, in termini di vite
umane, sono tanti. E non sono rimborsabili. Ma se, per un curioso gioco del
destino, “quella” telefonata non scomparirà dai tg, passato l’evento mediatico,
e risuonerà nelle nostre vite per parecchi altri giorni, forse il primo passo
per una rinnovata coscienza civica questo paese potrà davvero ricominciare a
farlo. Anche in memoria di chi non c’è più.
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